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Il 2001 ha segnato uno shift importante nel paradigma del trattamento della leucemia mieloide cronica (LMC) grazie all’introduzione di farmaci intelligenti, noti come inibitori delle tirosin chinasi (TKI, Tyrosine kinase inhibitors). L’inibitore capostipite e i suoi successori, TKI di seconda e terza generazione, hanno introdotto, nel tempo, un ulteriore aggiornamento degli obiettivi terapeutici della LMC: la remissione senza trattamento (TFR, treatment-free remission). Oggi, infatti, per diversi pazienti è possibile e sicuro interrompere il trattamento con TKI e mantenere almeno una risposta molecolare maggiore (MMR) anche dopo l’interruzione della terapia TKI, senza necessità di riprendere il trattamento.

Nello specifico, i pazienti che in fase cronica mantengono una risposta molecolare profonda (DMR) stabile per almeno 2 anni, sono considerati buoni candidati per l'interruzione della terapia TKI.

In un recente studio pubblicato su Frontiers Oncology un gruppo di ematologi italiani ha raccolto (attraverso una survey), analizzato e discusso le principali problematiche cliniche e psicologiche legate al TFR, affiancando a queste eventuali soluzioni.

L’esigenza di riunirsi e discutere degli aspetti clinico-psicologici legati al TFR sembra nascere dal fatto che, nonostante diversi studi clinici controllati (e.g. STIM, ISAV e EURO-SKI) abbiano dimostrato che è possibile sospendere le terapie in casi selezionati, ad oggi, nella maggior parte dei centri in Italia, il TFR viene proposto in un numero limitato di pazienti. Un punto chiave e imprescindibile per gli autori è l’informazione del paziente. Il paziente deve essere informato sul fatto che i periodi di TFR possono durare da diversi mesi a molti anni e che, in caso di perdita di risposta, la reintroduzione della terapia permette (nella quasi totalità dei casi) di recuperare la precedente risposta molecolare e mantenerla.

Complessivamente, dall’analisi della survey è emerso che il 63% degli specialisti ha difficoltà nel proporre l’interruzione delle terapie (TFR) ai pazienti sia per problemi clinici oggettivi che per potenziali problemi psicologici. Le problematiche di natura clinica che emergono in maniera netta sono:

  • (i) i tempi di consegna, da parte del laboratorio, dei risultati dei test molecolari (qPCR);
  • (ii) la necessità di visite di follow-up “molecolari” molto ravvicinate (almeno ogni mese per i primi 6 mesi dopo l'interruzione)
  • (iii) l'assenza di linee guida nazionali e internazionali pubblicate sul TFR.

Tra i problemi psicologici, i più comunemente menzionati riguardavano sia la difficoltà nel gestire l'ansia del paziente sulla proposta di interruzione che la mancanza di convinzione sul TFR da parte sia del paziente che del medico.

Come possibili soluzioni alle problematiche sopra enunciate, gli autori sottolineano che sono in fase di elaborazione delle linee guida a tiratura nazionale e internazionale sul TFR, mentre, per quanto riguarda la velocità con cui si ottengono i risultati molecolari, gli autori propongono di stabilire un contatto diretto con il laboratorio molecolare, prioritizzando l’analisi dei pazienti in TFR vs pazienti in risposta stabile.

Per ciò che concerne la sfera psicologica, tra i diversi suggerimenti, gli autori vedono il momento della diagnosi (o almeno le visite iniziali) una buona finestra temporale dove segnalare al paziente la possibilità del TFR, in quanto potenzialmente migliorativo per l’aspetto dell’aderenza alla terapia, soprattutto nei pazienti giovani con un profilo socio-culturale più elevato. Inoltre, suggeriscono che l’atteggiamento dovrebbe essere empatico e, proprio per questo, il medico dovrebbe prestare attenzione sia al linguaggio verbale che a quello non verbale, semplificando o meno i contenuti a seconda del livello di formazione/informazione del paziente che ha davanti. Parole semplici e corrette, senza creare attese o ansie ingiustificate.

Il TFR dovrebbe essere percepito come un tentativo di verificare se è possibile mantenere un MMR in assenza di trattamento e la presenza di un follow-up così rigoroso e ravvicinato deve essere presentato come un’ulteriore rassicurazione per il paziente. L’obiettivo è infatti identificare tempestivamente l’eventuale perdita di risposta e consentire una ripresa precoce della terapia.
La possibilità di perdita di una risposta molecolare maggiore deve essere chiaramente esplicitata come un possibile evento che si verifica in una percentuale significativa di pazienti. Tuttavia, va anche sottolineato che la risposta può essere recuperata riprendendo la terapia, con tempi e livelli di profondità che variano da paziente a paziente. I pazienti devono essere inoltre informati anche sulla possibilità di eventi avversi dopo l'interruzione. In ultimo, ma non meno importante, in caso di pazienti donne, può essere sottolineata la possibilità del TFR anche nell’ottica di pianificare una o più gravidanze.

In conclusione, gli stessi autori affermano che “il paziente deve essere fortemente incoraggiato a tentare la TFR se le condizioni cliniche lo consentono”, pertanto, il TFR dovrebbe essere visto come un percorso a tre: paziente, medico e centro di trattamento.

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