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Medicina di genere: quali prospettive a partire dal piano ministeriale?

Uomini e donne soffrono delle stesse patologie ma con sintomi differenti e si ammalano anche in modo differente, perciò vanno curati farmacologicamente  in modo diverso.  È  questo lo scopo della Medicina di genere che non riguarda solo salute della donna, dunque, né  è limitata alle patologie che colpiscono gli organi della riproduzione, ma si interessa delle malattie che possono affliggere  entrambi i sessi. E la Medicina di genere è stata protagonista del secondo Talk di Alleati per la Salute (www.alleatiperlasalute.it) il nuovo portale dedicato all’informazione medico-scientifica realizzato da Novartis.   

Titolo del  dibattito: “Medicina di genere: quali prospettive a partire dal piano ministeriale?” al quale hanno partecipato la professoressa  Giovannella Baggio, specialista in Medicina Interna ed Endocrinologia, titolare già dal 2013 della prima cattedra in Italia per la medicina di genere all’Università di Padova, e la dottoressa 

Francesca Merzagora, fondatrice e presidente di Onda, Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere.   

 

Al centro del confronto rigorosamente online a causa delle misure anti-Covid (per rivederlo https://www.alleatiperlasalute.it/talks-la-salute) il ruolo della Medicina di  genere di cui l’Italia è all’avanguardia in Europa, dopo aver approvato definitivamente nel giugno 2019 il Piano per la medicina di genere. Grazie a questo strumento, infatti,  per la prima volta nel nostro Paese viene inserito il concetto di “genere” nella medicina, per garantire in modo omogeneo la qualità e l’appropriatezza delle prestazioni erogate dal Servizio sanitario nazionale.   

 

Donne e uomini, stesse malattie ma sintomi e cure diversi  

 

Le donne – è emerso durante il talk di Alleati per la Salute - soffrono di depressione da 2 a 3 volte più degli uomini, ma meno di malattie cardiovascolari (3,5% contro il  4,9%) che però rappresentano la loro prima causa di morte: 48% contro il 38% degli uomini.  Se affetti da diabete, a parità di controllo glicemico, il rischio cardiovascolare nella donna è il 44% più alto che nell’uomo, mentre per quanto riguarda le  malattie autoimmuni ed endocrine, nella donna  sono dalle 2 alle 50 volte superiori rispetto agli uomini. Uomini  e donne sono diversi,  anche per quanto riguarda la salute, confermano i dati del Libro  bianco «Dalla Medicina di genere alla Medicina di precisione», realizzato dalla Fondazione Onda. 

Ma perché uomini e donne si ammalano in modo diverso della stessa patologia e hanno anche una risposta diversa ai sintomi e alle cure?  È solo una questiona biologica o sono implicati altri fattori?   

“Alla base –  spiega Baggio -  c’è innanzitutto un impatto maggiore di alcuni fattori di rischio, quali fumo e diabete che ne causa una prognosi peggiore. Seppur le donne fumino in media meno degli uomini (14,9% contro il  24,8%), a loro basta fumare un terzo delle sigarette dell’uomo per avere lo stesso rischio cardiovascolare; inoltre, la donna con diabete ha un rischio cardiovascolare superiore del 44% rispetto all’uomo con pari compenso glicemico”.  

 

E le malattie cardiovascolari, prosegue  ancora Baggio “ sono le prime ad essere state studiate e, attraverso la cardiologia,  si è arrivati per primi a vedere le differenze di genere. Un esempio: l’infarto del miocardio, che è la prima causa di morte della donna, si presenta in modo   completamente diverso  nell’uomo  e nella donna.  Nell’uomo  si manifesta con dolore anteriore,  nella donna con un po’ di ansia e del dolore posteriore. Quindi anche i sintomi sono diversi, i fattori di rischio hanno un impatto diverso.  Una donna con diabete ha 3 volte più probabilità di sviluppare un infarto rispetto a un uomo con la stessa patologia. Il fumo di sigarette fa male a tutti, ma fa peggio alla donna che all’uomo.  La depressione è più frequente nelle donne, però l’uomo non ha gli stessi sintomi  per cui non ci si accorge della sua depressione e l’uomo si suicida dalle 3 alle 4 volte in più rispetto alla donna, e ciò avviene  in tutto il mondo”.  

 

Anche  per le malattie autoimmuni, il primato è femminile.  “Da 50 anni –  conferma Giovannella Baggio -  sono molto più frequenti nella donna,  ma è grazie al loro sistema immunitario più forte che le donne reagiscono e affrontano meglio le malattie infettive. Hanno infatti una maggiore capacità di difendersi dalle malattie infettive, sin dall’età pediatrica.  Non a caso, con il Covid gli uomini muoiono di più. È quindi doveroso che questo aspetto della medicina di genere sia approfondito da tutti i medici. Di cattedre di medicina di genere non c’è più bisogno, c’è bisogno che tutto il mondo medico, tutte le specialità mediche vengano declinate in base alle differenze di genere. Purtroppo c’è ancora troppa ignoranza dilagante”.   

 

Medicina di genere, Italia all’avanguardia  

 

“La Medicina di genere – sottolinea Giovannella Baggio - non è una specialità a se stante, ma una dimensione trasversale a tutte le specialità della medicina. Se io parlo di chirurgia, di dermatologia, di cardiologia, di ortopedia,  in tutte le specialità ci sono delle differenze di genere. Tanto che oggi non vogliamo più parlare di medicina di genere ma di medicina genere-specifica: perché c’è la chirurgia genere-specifica, la cardiologia genere-specifica, la reumatologia genere-specifica.  Tutte le specialità hanno delle differenze nei sintomi, nel decorso delle malattie,  nella necessità di farmaci, nella prevenzione. Io per prima nel 2006 ho iniziato a muovere le acque su questo argomento. Nel 2013 l’Università di Padova ha voluto  fondare una Cattedra. Ma adesso di cattedre di medicina di genere non c’è più bisogno semmai c’è bisogno che tutti gli specialisti facciano attenzione alle differenze di genere”. Sono stati anni importanti,  afferma Baggio “durante i quali abbiamo creato -  ricorda - una bella rete che ha supportato lo studio, la ricerca e la cultura e questo ha fatto sì che nel 2018 sia stata approvata una legge sulla Medicina di Genere  i cui decreti attuativi sono stati poi firmati nel giugno 2019. Penso che l’Italia abbia fatto un bel percorso in così poco tempo. Sono fiera dell’Italia, unico Paese al mondo ad avere una legge sulla Medicina di genere”.  

 

Il Piano per l’applicazione e diffusione della Medicina di genere 

L’adozione del Piano per l’applicazione e la diffusione della Medicina di genere, nato dall’impegno congiunto del Ministero della Salute e del Centro di riferimento per la Medicina di genere dell’Istituto Superiore di Sanità, ha l’obiettivo di promuoverne la diffusione basandosi su 4 principi: approccio interdisciplinare, ricerca, formazione e aggiornamento professionale, informazione.   

 

“Per quanto riguarda il primo punto del Piano, relativo ai percorsi clinici di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione abbiamo lavorato – sostiene Francesca Merzagora presidente di Onda - per i “bollini rosa”, un riconoscimento che la Fondazione Onda, conferisce agli ospedali che offrono servizi dedicati alla prevenzione, diagnosi e cura delle principali patologie femminili. Al momento sono 335 in Italia. Dopo che l’Italia si è dotata del Piano, ho avuto un contatto con la commissaria Ue alla Salute Stella Kyriakide e l’idea – già prima della pandemia – era quello di poter esportare l’esperienza dei bollini rosa in altri Paesi europei. Spero che lo si possa fare il prima possibile, pandemia permettendo. In merito al secondo punto, ricerca e formazione, abbiamo il “Top Italian Women Scientists-Tiws”, un club costituito nell’ambito della Fondazione, che raggruppa le scienziate italiane impegnate nella ricerca biomedica e censite nella classifica dei Top Italian Scientists (Tis) di Via-Academy (censimento degli scienziati italiani di maggior impatto in tutto il mondo, misurato con il valore di H-index) e che promuovono la ricerca al femminile”.  

 

Coronavirus letale per gli uomini  

Secondo uno studio pubblicato su Science il rischio di decesso per Covid-19 è 1,7 volte superiore per i maschi in ogni fascia di età, a partire dai 30 anni rispetto alle donne.  Anche per la pandemia c’è bisogno di cure personalizzate  percorsi clinici differenziati?  “Bisogna capire perché la donna muore di meno a causa del Covid –  tiene a precisare Giovannella Baggio - pur essendo più portatrice del virus: si occupano di più degli ammalati di Covid (infermiere, operatrici  sanitarie, badanti) quindi sono potenzialmente più esposte, eppure muoiono meno. I motivi? Innanzitutto sono più attente alle regole, poi hanno un sistema immunitario più forte. Inoltre, nella donna ci sono delle strutture proteiche di membrana che fanno in modo che il virus entri di meno all’interno delle cellule, anche grazie agli ormoni. Non solo, anche la risposta ai vaccini  è superiore nella donna rispetto all’uomo. È possibile che arriveremo a dire che le donne possano fare anche un dosaggio inferiore di vaccino”.    

    

Donne più longeve ma svantaggiate

  

Sappiamo che le donne vivono più a lungo degli uomini (vita media degli uomini 80,6 anni e delle donne 84,9 anni) secondo  i dati ISTAT 2017, ma si ammalano di più, consumano più farmaci e, conseguentemente, sono più esposte alle reazioni indesiderate causate dai medicinali. Ma sono anche "svantaggiate" rispetto agli uomini  perché più facilmente soggette a disoccupazione, difficoltà economiche e violenze fisiche e psicologiche. Se si considerano gli anni di vita trascorsi in buona salute, il vantaggio a favore delle donne diminuisce considerevolmente.  

 

“La donna ha 4 anni di vantaggio – conferma la professoressa Baggio  -  però sono anni di disabilità e malattia. Lo dicono le statistiche mondiali. Tra le patologie che rovinano gli ultimi anni di vita delle donne troviamo le conseguenze delle malattie cardiovascolari (prima causa di morte tra le donne), quindi l’artrosi, che va di pari passo con l’età nel genere femminile, aggravata da obesità e sovrappeso. Seguono il deficit cognitivo e la demenza. Due terzi dei dementi nel mondo sono donne. Certo, non tutte arrivano alla demenza ma il deficit cognitivo impatta moltissimo sulla qualità della loro vita.  Dunque, l’uomo ammalato muore più facilmente mentre la donna ha una qualità di vita scadente. Come Servizio sanitario nazionale siamo “costretti” a prevenire la disabilità ma nessuno ne parla. Invece deve essere un must che nei prossimi anni la medicina deve portare avanti insieme alla medicina di genere”.  

 

E  che le donne siano state più svantaggiate a causa della pandemia, ne è convinta la presidente di Onda: “Non solo hanno pagato un prezzo più alto sul piano economico e occupazionale, ma causa del Covid-19 sono stati trascurati servizi dedicati al parto e alla gravidanza, quindi la pandemia ha avuto un impatto negativo sulla salute fisica e psichica delle donne. Anche partorire è stato un problema, come se non avessimo già problemi di denatalità. Ci troviamo di fronte a una situazione drammatica perché non solo l’Italia dopo il Giappone è il Paese che ha un tasso di invecchiamento più elevato ma è quello in cui riscontriamo da anni un aumento del tasso di denatalità. Già nel 2019 avevamo assistito ad un calo delle  nascite (420mila nati), nel 2020 si parla di 408mila nuovi nati ma si prevede che a fine saranno 393mila i nuovi nati”.   

 

Fondazione Onda per la salute delle donne      

“Fondazione Onda è un osservatorio che da 15 anni si occupa di salute della donna  nei diversi cicli vitali – ricorda Merzagora -  sviluppando progetti editoriali, di ricerca, di comunicazione e istituzionali. La pandemia è uno dei temi su cui siamo maggiormente focalizzati in questo periodo perché il Covid ha provocato un riflesso pesantissimo a livello di disturbi depressivi, si parla addirittura di un aumento del 30%. La solitudine, i lutti per la perdita di un proprio caro a causa del Covid e gli effetti economici prodotti dalla pandemia hanno colpito maggiormente le donne. Ecco, tutto questo – secondo gli esperti delle società scientifiche – avrebbe generato un aumento della depressione con 150mila nuovi casi all’anno.  Tra le altre patologie di cui Fondazione Onda  si occupa c’è l’emicrania:  una problematica di salute che riguarda principalmente le donne. Su 6 milioni di emicranici,  4 milioni sono donne. È una patologia invalidante che peggiora la qualità di vita, per questo abbiamo realizzato un progetto di sensibilizzazione  per cercare di superare lo stigma che c’è nei confronti del paziente con emicrania, così come aleggia nei confronti di chi deve fare i conti con la depressione. E il recente riconoscimento della cefalea cronica considerata malattia sociale è stato un buon punto di partenza”.  

 

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