La maggior parte delle forme di ipovisione e cecità profonda non traumatiche sono conseguenza di poche patologie: connesse a un deterioramento della retina, come capita nelle retinopatie diabetiche e nelle maculopatie senili, possono in gran parte essere prevenute e trattate farmacologicamente. Esiste invece un gruppo di patologie oculari rare che portano a un danno visivo pressoché completo ma che, ancora oggi, sono in gran parte non curabili: si tratta delle distrofie retiniche, un insieme di condizioni genetiche che - in tempi e modi diversi - conducono a una progressiva degenerazione delle cellule fotosensibili della retina, cioè i coni e i bastoncelli, e dunque a un'alterazione funzionale e morfologica. Ciò porta a una progressiva invalidità: queste patologie colpiscono infatti entrambi gli occhi incidendo pesantemente sulla autonomia dei soggetti.
Quali sono le forme di distrofia retinica ereditaria
Tra le principali distrofie retiniche ereditarie possiamo citare la distrofia dei coni, la distrofia di Best, la malattia di Stargardt e la forse più nota retinite pigmentosa. Va però detto che accanto a queste forme geneticamente determinate ne esistono altre che sono invece correlate ad altre condizioni quali:
- patologie dell'orecchio;
- obesità e alterazioni metaboliche;
- ritardo cognitivo;
- cardiopatie;
- patologie muscoloscheletriche.
In questi casi occorre sempre il confronto con diversi specialisti.
Sintomatologia ed evoluzione
In generale l'incidenza delle distrofie retiniche è di non più di un caso su 5mila persone, in alcuni casi addirittura di un caso su un milione. I primi sintomi sono generalmente:
- la visione di macchie (gli scotomi);
- un restringimento del campo visivo;
- difficoltà di adattamento nel passaggio dalla luce al buio;
- fastidio per la luce (fotofobia).
L'evoluzione è sempre progressiva e varia a seconda della singola forma di distrofia, ma la conseguenza ultima è sempre l'ipovisione.
Esistono terapie per le distrofie retiniche ereditarie?
La diagnosi parte dalla visita oculistica e dall'esecuzione di esami quale la Oct, la cosiddetta "tac dell'occhio", l'autofluorescenza ed eventualmente uno studio biomolecolare. Di certo sono patologie complesse da diagnosticare vista la loro rarità ma soprattutto la molteplicità di forme, spesso distinte tra loro per piccole e specifiche differenze.
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