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In Italia oltre 1 milione di persone è affetto da scompenso cardiaco (14 milioni in Europa) e ogni anno c’è un progressivo incremento di nuove diagnosi: circa 20 casi ogni 1000 persone tra i 65 e i 69 anni, e più di 80 casi ogni 1000 persone fra gli over85.

“Eppure – afferma Salvatore Di Somma, professore di Medicina interna e d’urgenza all’Università di Roma La Sapienza – tale patologia, che si manifesta quando il cuore non riesce ad adempire a pieno alla sua funzione di pompa e quindi non assicura più un adeguato apporto di ossigeno ai tessuti, spesso non è diagnosticato per tempo.

Il ritardo nella diagnosi è soprattutto dovuto della paucisintomaticità delle fasi iniziali della malattia; e, in ragione di ciò, lo scompenso cardiaco è certamente una patologia ancora sottostimata”.

Lo scompenso cardiaco è più frequente tra le persone anziane e, statisticamente, la sua incidenza aumenta con l’avanzare dell’età. Secondo le stime, questo trend proseguirà con regolarità in relazione all’aumento della vita media. Si tratta di una progressione inevitabile, considerando il costante innalzamento dell’età media della popolazione e il sempre più elevato tasso di sopravvivenza, raggiunto grazie al miglioramento dei trattamenti, di coloro che soffrono di problemi alle coronarie, di pressione arteriosa o di diabete “Ma alcuni casi – spiega Di Somma che è anche Direttore Scientifico AISC (associazione italiana pazienti con scompenso cardiaco) – si verificano anche nei bambini per malformazioni congenite e nei giovani adulti per malattie delle valvole cardiache o primitive del muscolo cardiaco”.

Tra i fattori più comuni all’origine dello scompenso cardiaco ci sono eventuali problemi cardiovascolari precedenti: infarto, patologie coronariche, ipertensione, diabete, dislipidemie, malattie delle valvole cardiache, infiammazioni o malattie genetiche del miocardio, difetti congeniti, patologie polmonari. “È quindi evidente – sottolinea il cardiologo - che tutti i soggetti cui è stata già diagnosticata una tra queste situazioni patologiche dovrebbero essere considerati a rischio di essere affetti o di poter sviluppare lo scompenso cardiaco”.

Sintomi sottovalutati

I sintomi dello scompenso cardiaco variano in modo significativo da persona a persona, soprattutto in relazione alla gravità della malattia e all’incidenza che i diversi fattori hanno avuto nel generare la patologia.

“Nelle fasi avanzate della malattia – ricorda Di Somma - l’accumulo di liquidi, o congestione, genera dispnea (mancanza di respiro), tosse, aumenti di peso e gonfiore alle estremità inferiori, in particolare alle caviglie, per poi diffondersi a tutto il corpo. Come conseguenza di questo fenomeno, il paziente si accorge che il suo peso corporeo aumenta. La mancanza di respiro si presenta all’inizio, dopo uno sforzo intenso, ma man mano che la patologia peggiora essa compare per sforzi molto lievi, oppure, nelle forme più gravi, addirittura a riposo. In ogni caso tali sintomi non sono specifici solo dello scompenso cardiaco e possono essere quindi confusi con altre patologie acute, per esempio di natura polmonare. Nelle fasi inziali, invece, lo scompenso cardiaco si manifesta con sintomi molto sfumati e aspecifici quali: senso di affaticamento e stanchezza, capogiri e palpitazioni tachicardia, perdita di appetito e la necessità di urinare più volte nel corso della notte. In questi casi, vista la aspecificità dei sintomi, spesso non si considera la possibilità che tale sintomatologia possa essere causata proprio dallo scompenso cardiaco e ciò spesso ritarda, quindi, una diagnosi accurata e tempestiva”.

Prima causa di morte tra i disturbi vascolari

Colpisce l’1,7 % della popolazione italiana, cioè oltre 1 milione di persone, con un’incidenza di 200 mila casi l’anno. La prevalenza cresce in maniera esponenziale con l’età; causa circa 190 mila ricoveri l’anno che generano una spesa totale sul sistema sanitario di circa 3 miliardi annui (dati Aisc).

“In Italia lo scompenso cardiaco è la prima causa di morte tra i disturbi vascolari – riferisce Di Somma – una persona su 5 sopra i 40 anni svilupperà lo scompenso cardiaco nel corso della vita e circa 1 persona su 3 scambia i sintomi per normali segni di invecchiamento. Visti questi numeri, ogni soggetto dopo i 40 anni, soprattutto se affetto dai fattori di rischio e/o sintomi iniziali, dovrebbe sottoporsi a un controllo cardiologico per valutare la possibilità che sia presente lo scompenso cardiaco. Di sicuro, oltre ai pazienti ‘ufficiali’ con scompenso cardiaco, molti altri hanno tale disturbo ma lo ignorano”.

La patologia, caratterizzata in maniera ricorrente da fasi acute di ospedalizzazione e re-ospedalizzazione, con un decreto del Ministero della Salute del 2016 è stata inclusa tra le patologie croniche a maggior impatto socioeconomico. “E poiché i sintomi non sono facilmente riconoscibili – ammette Di Somma – molto spesso il paziente scopre di essere scompensato durante una fase acuta con ricovero in ospedale. Nel mondo lo scompenso cardiaco rappresenta la prima causa di ospedalizzazione dopo i 65 anni. Il Servizio sanitario nazionale spende complessivamente 550 milioni di euro l’anno, equivalenti a 11.800 euro per paziente per costi di ospedalizzazione. Il doppio per i costi di re-ospedalizzazione: 0,5% della spesa sanitaria del nostro paese.

Ottimizzazione delle cure

Per Di Somma, l’ottimizzazione terapeutica deve essere l’obiettivo in tutti i pazienti con scompenso cardiaco: seguiti in ambulatorio, sul territorio o in ospedale, in modo da migliorarne la prognosi e la qualità di vita. “Lo scompenso cardiaco è una condizione cronica – tiene a precisare Di Somma - che richiede un’adesione costante e rigorosa al piano di cura predisposto dai medici. Assumere con regolarità i farmaci prescritti, nei tempi e nelle dosi indicate, è il primo indispensabile passo che contribuisce a stabilizzare la condizione del paziente. A questo deve seguire un’attenzione altrettanto scrupolosa nel sottoporsi agli esami di controllo programmati e ad altre essenziali misure di prevenzione. Il paziente con scompenso cardiaco è spesso affetto da numerose comorbilità, quindi sottoposto a regimi terapeutici complessi con diversi e numerosi farmaci da assumere ogni giorno, per tutta la durata della sua patologia. L’elevato numero di farmaci, da prendere quotidianamente senza interruzione, può quindi indurre il paziente a sospendere autonomamente alcuni di essi. Di conseguenza è fondamentale che il paziente conosca molto bene il meccanismo di azione dei farmaci che assume, il beneficio che essi determinano sulla sua patologia e gli effetti negativi che possono invece generarsi dalla loro sospensione inappropriata”.

Le terapie

“I farmaci ritenuti efficaci – sostiene il cardiologo - sono: gli inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACEI), bloccanti del recettore dell’angiotensina II, beta-bloccanti, antagonisti dell’aldosterone, nitroderivati, diuretici, ivabradina, digitale. A questi vanno aggiunti i più recenti: inibitore della neprilisina e del recettore dell’angiotensina e gli inibitori del co-trasportatore di sodio e glucosio 2 (SGLT2).

L’importanza dell’aderenza terapeutica

I benefici dell’aderenza terapeutica, secondo il prof. Di Somma sono:

  • miglioramento delle condizioni e della qualità della vita;
  • minori complicazioni legate alla malattia;
  • ridotto rischio di ospedalizzazione;
  • riduzione della mortalità.

Scompenso cardiaco e Covid-19

Il Covid-19, oltre ai polmoni, attacca altri organi, tra cui il cuore. Per questo motivo, a causa del virus per gli esperti c’è il rischio che aumentino i pazienti con scompenso cardiaco.

“Per la paura del contagio – conclude Di Somma - molti pazienti con scompenso cardiaco hanno ritardato la ricerca di assistenza medica presso ospedali o ambulatori medici e questo ha portato a esiti peggiori, con un aggravamento della condizione clinica e, a volte, a perdite di vite umane per una interruzione della continuità delle cure e dei controlli indispensabili, data la cronicità della malattia. Inoltre, il virus oltre ai polmoni attacca anche tutti gli organi, soprattutto il cuore dove può indurre infiammazione più o meno acuta del miocardio e quindi a distanza nuovi casi di scompenso cardiaco. Ci si attende circa un aumento di circa il 30% nel prossimo futuro di nuovi casi di scompenso cardiaco, conseguenza di infezioni anche non gravi da coronavirus”.

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