Covid-19 e malati cronici
Con la Telemedicina la salute si fa smart mentre le associazioni di pazienti diventano sempre più punto di riferimento
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Con la Telemedicina la salute si fa smart mentre le associazioni di pazienti diventano sempre più punto di riferimento
La pandemia da Covid-19ha fatto emergere l’importanza della telemedicina. Da allora la possibilità di poter assistere i pazienti tramite un pc o uno smartphone sta rivoluzionando la sanità italiana. Lo sanno bene 24 milioni di malati cronici, 12,5 milioni afflitti da multi cronicità (dati Report Osservasalute) che si sono visti sospendere attività riabilitative e di ricovero “non urgenti”, al fine di ridurre l’accesso in ospedali e ambulatori per evitare il contagio del virus da Sars-Cov-2. Un problema cui si è ovviato - laddove possibile - con la «medicina a distanza»: consulenze telefoniche, ma anche vere e proprie visite.
E di telemedicina, ormai sempre più utilizzata da medici e pazienti, si è parlato il 28 gennaio in occasione del primo appuntamento in diretta video, Talks per la Salute, dal titolo “Covid e telemedicina: la telemedicina può aiutare i pazienti cronici?” promosso da Alleati per la Salute, il nuovo portale dedicato all’informazione medico - scientifica realizzato da Novartis Italia . All’incontro hanno preso parte Antonella Celano, presidente dell’Associazione Pazienti Malattie Reumatologiche Rare (APMARR), Rosanna D'Antona, presidente di Europa Donna e lo psicologo Luca Mazzucchelli, che si sono confrontati sull'impatto che il Covid-19 sta avendo sui pazienti cronici.
Visite, esami, cicli di riabilitazione e interventi cancellati ma anche difficoltà a restare in contatto con gli specialisti e i centri di riferimento per la propria patologia. È così che pazienti “ordinari” hanno vissuto l’emergenza Covid. Al loro fianco le Associazioni dei malati che, sin da subito, si sono attivate con senso di responsabilità e creatività rivelandosi spesso l’unico punto di riferimento e l’unico servizio a disposizione di queste persone. “Ci siamo ritrovati assolutamente impreparati a qualunque soluzione diversa da quelle tradizionali a cui eravamo abituati – afferma Antonella Celano, presidente di APMARR - ma per non far sentire i pazienti soli o, peggio, abbandonati a loro stessi abbiamo utilizzato mezzi alternativi non convenzionali come la messaggistica istantanea: messanger, whatsapp, telegram. Come Associazione abbiamo lavorato molto per il sostegno psicologico online, attivando il teleconsulto. Ad un numero verde i nostri reumatologi rispondono 4 giorni su 7. Inoltre, da mesi diamo ai pazienti risposte attraverso il sito e con messaggi istantanei”.
L’emergenza sanitaria – è emerso dal dibattito - ha fatto emergere più chiaramente la scarsa cultura e conoscenza della telemedicina in Italia. Nonostante alcuni esempi di efficienza - riscontrati in Emilia Romagna e in città come Latina, e Lodi, quest’ultima tra le più colpite dalla pandemia - le strutture sanitarie non sono ancora pronte e molti operatori sanitari non hanno ancora l'adeguato know-how degli strumenti principali di telemedicina per affrontare il cambiamento. Tuttavia, nel periodo compreso tra febbraio e giugno 2020, su 1.130 pazienti: 438 hanno interagito con il proprio medico con una telefonata, 429 lo hanno fatto con messaggi, 10 hanno utilizzato sistemi di telemedicina personalizzati e appena 6 hanno contatto il medico con una videochiamata. È questa la fotografia scattata dall’Associazione Pazienti Malattie Reumatologiche e dall’Associazione Malati Reumatici sull’impiego della telemedicina da parte di pazienti cronici. “Questi dati ci dicono che la tecnologia aiuta ad accorciare le distanze geografiche – sostiene lo psicologo Luca Mazzucchelli -. Certo, non sono mancate diffidenza e impreparazione, sicuramente si può fare di più. Mi chiedo, però, come avremmo fatto ad offrire continuità ai nostri pazienti senza questi strumenti?”.
Nonostante le difficoltà e la mancanza di alfabetizzazione digitale, nei primi mesi di pandemia solo il 33,9% dei pazienti cronici ha riscontrato problemi nella comunicazione con il proprio medico di medicina generale e appena il 5,8% ha espresso una valutazione negativa del Fascicolo sanitario elettronico. Tra loro infatti prevale un po’ di diffidenza. “Le persone pubblicano sui social la loro vita – ancora Celano - ma quando si parla di telemedicina , teleconsulto o teleriabilitazione si preoccupano della privacy. Possiamo dirci comunque soddisfatti perché la gran parte delle persone ha accettato il cambiamento. Sarebbe, però, opportuno utilizzare strumenti validati per la telemedicina che possano garantire la privacy. Anche via whatsapp, skype o videochiamata abbiamo ricevuto referti, prescrizioni. La telemedicina potrebbe abbattere liste d’attesa, eliminare le disuguaglianze nelle regioni ma occorre aggiornare le linee guide del 2009, approvate nel 2012 e ormai troppo vecchie, e poi non dimentichiamoci che una visita o un consulto attraverso la telemedicina costa quasi come una prestazione in presenza pur non utilizzando gli stessi mezzi”.
Non solo visite prestazioni “saltate” (18 milioni, a livello nazionale,da fine febbraio a oggi secondo il Rapporto di Cittadinanzattiva). I malati cronici hanno avuto anche problemi con l’assunzione e il reperimento dei farmaci. “Problemi che grazie alla ricetta dematerializzata è stato possibile risolvere – sottolinea Celano -: le persone non dovevano recarsi più dal proprio medico di medicina generale poiché potevano avere la ricetta direttamente sul Fascicolo sanitario elettronico, quindi in farmacia anche se in molti ancora preferiscono la ricetta in formato cartaceo”.
Nei primi sei mesi della pandemia le associazioni dei malati reumatici (che nel nostro Paese sono 5 milioni, secondo la Società Italiana di Reumatologia) hanno riscontrato un 40% di diagnosi precoci in meno. Un dato che fa riflettere sebbene in questo caso la tecnologia abbia aiutato questi pazienti. Non va meglio per gli altri malati cronici. “In Italia l’80% delle donne in media fa prevenzione. Tuttavia in questi mesi abbiamo registrato una forte rallentamento per quanto riguarda la diagnosi precoce – ammette Rosanna D’Antona, presidente di Europa Donna (che riunisce circa 160 associazioni di pazienti oncologici sparse su tutto il territorio nazionale)”. A dirlo sono i dati dell’Osservatorio Nazionale Screening sull’impatto del Covid sugli screening oncologici 2020. Tra gennaio e settembre 2020, rispetto allo stesso periodo del 2019, le donne invitate/contattate sono state 947.322 in meno (pari a -34,5%); le mammografie non effettuate sono state 610.803 (- 43,5%); il ritardo accumulato è pari a 3,9 mesi e si stima che il numero di tumori mammari non diagnosticati siano 2.793. “Inevitabilmente – ammette D’Antona - questa drastica riduzione di prestazioni sanitarie imposta dall’emergenza sanitaria ci ha fatto accelerare la connessione interna. Nel 2020 abbiamo attivato delle reti telematiche fra Europa Donna e le sue associate delle regioni. Obiettivo: invertire la tendenza. Per prima cosa, ci siamo alleati con le società scientifiche, in particolare di radiologia, e con le altre associazioni in sostegno delle pazienti, per confrontarci su questi numeri. E con questi numeri siamo andati dal ministro della Salute Roberto Speranza al quale abbiamo presentato anche alcune proposte: raddoppiare i turni dei radiologi, potenziare il personale addetto alla radiologia. Abbiamo trovato ascolto e disponibilità a collaborare ma, in piena pandemia, sappiamo che non sarà facile trovare delle soluzioni immediate”. E sulla telemedicina la presidente di Europa Donna si dice convinta si tratti di uno strumento importantissimo “a patto che serva ad avvicinare davvero il medico al paziente anziché allontanarlo”.
Dal punto di vista psicologico il paziente cronico come sta vivendo questo momento in cui i suoi riferimenti vengono meno e suoi appuntamenti rimandati? “La strada è in salita – ammette Luca Mazzucchelli – è stato un anno complesso e lo è stato in particolare per i malati cronici. Tutti quanti hanno dovuto affrontare un carico emotivo ingombrante legato al Covid, all’isolamento e al cambiamento delle abitudini, ma questi pazienti hanno dovuto affrontare due ulteriori sfide: la prima riguarda i contatti con i medici e gli specialisti, diminuiti o diradati, e le visite ed esami cancellati o rimandati. Tutto ciò ha avuto ed ha un impatto anche dal punto di vista psicologico sul paziente cronico perché percepisce un maggior rischio connesso alla propria condizione. E quindi in queste persone aumentano ansia, stress, incertezza. A volte provano anche un senso di abbandono che si traduce in una maggiore difficoltà nell’aderire alla terapia. Sentirsi presi in carico, invece, permette al paziente di rispettare al meglio la terapia. La seconda sfida per questi pazienti è il distanziamento sociale che ha portato ad un impoverimento delle reti di supporto. Quindi, molti si sono trovati a non poter entrare in contatto con familiari, parenti, amici, caregiver. Risultato? Aumento dei disturbi legati alla solitudine oltre alla mancanza di supporto sia emotivo che concreto necessario per gestire la patologia cronica. Siamo degli animali relazionali, senza l’altro la vita perde di significato e nella gestione della cronicità il supporto sociale da parte del paziente è uno dei principali fattori protettivi. Quindi – conclude - evitiamo i contatti ma non rinunciamo alle relazioni. In questo i nuovi strumenti digitali ci possono essere di grande aiuto. Ma la tecnologia dovrà sempre di più integrarsi con la pratica clinica, non potrà mai sostituire la visita in presenza”.
La pandemia da Covid-19ha fatto emergere l’importanza della telemedicina. Da allora la possibilità di poter assistere i pazienti tramite un pc o uno smartphone sta rivoluzionando la sanità italiana. Lo sanno bene 24 milioni di malati cronici, 12,5 milioni afflitti da multi cronicità (dati Report Osservasalute) che si sono visti sospendere attività riabilitative e di ricovero “non urgenti”, al fine di ridurre l’accesso in ospedali e ambulatori per evitare il contagio del virus da Sars-Cov-2. Un problema cui si è ovviato - laddove possibile - con la «medicina a distanza»: consulenze telefoniche, ma anche vere e proprie visite.
E di telemedicina, ormai sempre più utilizzata da medici e pazienti, si è parlato il 28 gennaio in occasione del primo appuntamento in diretta video, Talks per la Salute, dal titolo “Covid e telemedicina: la telemedicina può aiutare i pazienti cronici?” promosso da Alleati per la Salute, il nuovo portale dedicato all’informazione medico - scientifica realizzato da Novartis Italia . All’incontro (visibile alla pagina https://www.alleatiperlasalute.it/talks-la-salute) hanno preso parte Antonella Celano, presidente dell’Associazione Pazienti Malattie Reumatologiche Rare (APMARR), Rosanna D'Antona, presidente di Europa Donna e lo psicologo Luca Mazzucchelli, che si sono confrontati sull'impatto che il Covid-19 sta avendo sui pazienti cronici.
Visite, esami, cicli di riabilitazione e interventi cancellati ma anche difficoltà a restare in contatto con gli specialisti e i centri di riferimento per la propria patologia. È così che pazienti “ordinari” hanno vissuto l’emergenza Covid. Al loro fianco le Associazioni dei malati che, sin da subito, si sono attivate con senso di responsabilità e creatività rivelandosi spesso l’unico punto di riferimento e l’unico servizio a disposizione di queste persone. “Ci siamo ritrovati assolutamente impreparati a qualunque soluzione diversa da quelle tradizionali a cui eravamo abituati – afferma Antonella Celano, presidente di APMARR - ma per non far sentire i pazienti soli o, peggio, abbandonati a loro stessi abbiamo utilizzato mezzi alternativi non convenzionali come la messaggistica istantanea: messanger, whatsapp, telegram. Come Associazione abbiamo lavorato molto per il sostegno psicologico online, attivando il teleconsulto. Ad un numero verde i nostri reumatologi rispondono 4 giorni su 7. Inoltre, da mesi diamo ai pazienti risposte attraverso il sito e con messaggi istantanei”.
L’emergenza sanitaria – è emerso dal dibattito - ha fatto emergere più chiaramente la scarsa cultura e conoscenza della telemedicina in Italia. Nonostante alcuni esempi di efficienza - riscontrati in Emilia Romagna e in città come Latina, e Lodi, quest’ultima tra le più colpite dalla pandemia - le strutture sanitarie non sono ancora pronte e molti operatori sanitari non hanno ancora l'adeguato know-how degli strumenti principali di telemedicina per affrontare il cambiamento. Tuttavia, nel periodo compreso tra febbraio e giugno 2020, su 1.130 pazienti: 438 hanno interagito con il proprio medico con una telefonata, 429 lo hanno fatto con messaggi, 10 hanno utilizzato sistemi di telemedicina personalizzati e appena 6 hanno contatto il medico con una videochiamata. È questa la fotografia scattata dall’Associazione Pazienti Malattie Reumatologiche e dall’Associazione Malati Reumatici sull’impiego della telemedicina da parte di pazienti cronici. “Questi dati ci dicono che la tecnologia aiuta ad accorciare le distanze geografiche – sostiene lo psicologo Luca Mazzucchelli -. Certo, non sono mancate diffidenza e impreparazione, sicuramente si può fare di più. Mi chiedo, però, come avremmo fatto ad offrire continuità ai nostri pazienti senza questi strumenti?”.
Nonostante le difficoltà e la mancanza di alfabetizzazione digitale, nei primi mesi di pandemia solo il 33,9% dei pazienti cronici ha riscontrato problemi nella comunicazione con il proprio medico di medicina generale e appena il 5,8% ha espresso una valutazione negativa del Fascicolo sanitario elettronico. Tra loro infatti prevale un po’ di diffidenza. “Le persone pubblicano sui social la loro vita – ancora Celano - ma quando si parla di telemedicina , teleconsulto o teleriabilitazione si preoccupano della privacy. Possiamo dirci comunque soddisfatti perché la gran parte delle persone ha accettato il cambiamento. Sarebbe, però, opportuno utilizzare strumenti validati per la telemedicina che possano garantire la privacy. Anche via whatsapp, skype o videochiamata abbiamo ricevuto referti, prescrizioni. La telemedicina potrebbe abbattere liste d’attesa, eliminare le disuguaglianze nelle regioni ma occorre aggiornare le linee guide del 2009, approvate nel 2012 e ormai troppo vecchie, e poi non dimentichiamoci che una visita o un consulto attraverso la telemedicina costa quasi come una prestazione in presenza pur non utilizzando gli stessi mezzi”.
Non solo visite prestazioni “saltate” (18 milioni, a livello nazionale,da fine febbraio a oggi secondo il Rapporto di Cittadinanzattiva). I malati cronici hanno avuto anche problemi con l’assunzione e il reperimento dei farmaci. “Problemi che grazie alla ricetta dematerializzata è stato possibile risolvere – sottolinea Celano -: le persone non dovevano recarsi più dal proprio medico di medicina generale poiché potevano avere la ricetta direttamente sul Fascicolo sanitario elettronico, quindi in farmacia anche se in molti ancora preferiscono la ricetta in formato cartaceo”.
Nei primi sei mesi della pandemia le associazioni dei malati reumatici (che nel nostro Paese sono 5 milioni, secondo la Società Italiana di Reumatologia) hanno riscontrato un 40% di diagnosi precoci in meno. Un dato che fa riflettere sebbene in questo caso la tecnologia abbia aiutato questi pazienti. Non va meglio per gli altri malati cronici. “In Italia l’80% delle donne in media fa prevenzione. Tuttavia in questi mesi abbiamo registrato una forte rallentamento per quanto riguarda la diagnosi precoce – ammette Rosanna D’Antona, presidente di Europa Donna (che riunisce circa 160 associazioni di pazienti oncologici sparse su tutto il territorio nazionale)”. A dirlo sono i dati dell’Osservatorio Nazionale Screening sull’impatto del Covid sugli screening oncologici 2020. Tra gennaio e settembre 2020, rispetto allo stesso periodo del 2019, le donne invitate/contattate sono state 947.322 in meno (pari a -34,5%); le mammografie non effettuate sono state 610.803 (- 43,5%); il ritardo accumulato è pari a 3,9 mesi e si stima che il numero di tumori mammari non diagnosticati siano 2.793. “Inevitabilmente – ammette D’Antona - questa drastica riduzione di prestazioni sanitarie imposta dall’emergenza sanitaria ci ha fatto accelerare la connessione interna. Nel 2020 abbiamo attivato delle reti telematiche fra Europa Donna e le sue associate delle regioni. Obiettivo: invertire la tendenza. Per prima cosa, ci siamo alleati con le società scientifiche, in particolare di radiologia, e con le altre associazioni in sostegno delle pazienti, per confrontarci su questi numeri. E con questi numeri siamo andati dal ministro della Salute Roberto Speranza al quale abbiamo presentato anche alcune proposte: raddoppiare i turni dei radiologi, potenziare il personale addetto alla radiologia. Abbiamo trovato ascolto e disponibilità a collaborare ma, in piena pandemia, sappiamo che non sarà facile trovare delle soluzioni immediate”. E sulla telemedicina la presidente di Europa Donna si dice convinta si tratti di uno strumento importantissimo “a patto che serva ad avvicinare davvero il medico al paziente anziché allontanarlo”.
Dal punto di vista psicologico il paziente cronico come sta vivendo questo momento in cui i suoi riferimenti vengono meno e suoi appuntamenti rimandati? “La strada è in salita – ammette Luca Mazzucchelli – è stato un anno complesso e lo è stato in particolare per i malati cronici. Tutti quanti hanno dovuto affrontare un carico emotivo ingombrante legato al Covid, all’isolamento e al cambiamento delle abitudini, ma questi pazienti hanno dovuto affrontare due ulteriori sfide: la prima riguarda i contatti con i medici e gli specialisti, diminuiti o diradati, e le visite ed esami cancellati o rimandati. Tutto ciò ha avuto ed ha un impatto anche dal punto di vista psicologico sul paziente cronico perché percepisce un maggior rischio connesso alla propria condizione. E quindi in queste persone aumentano ansia, stress, incertezza. A volte provano anche un senso di abbandono che si traduce in una maggiore difficoltà nell’aderire alla terapia. Sentirsi presi in carico, invece, permette al paziente di rispettare al meglio la terapia. La seconda sfida per questi pazienti è il distanziamento sociale che ha portato ad un impoverimento delle reti di supporto. Quindi, molti si sono trovati a non poter entrare in contatto con familiari, parenti, amici, caregiver. Risultato? Aumento dei disturbi legati alla solitudine oltre alla mancanza di supporto sia emotivo che concreto necessario per gestire la patologia cronica. Siamo degli animali relazionali, senza l’altro la vita perde di significato e nella gestione della cronicità il supporto sociale da parte del paziente è uno dei principali fattori protettivi. Quindi – conclude - evitiamo i contatti ma non rinunciamo alle relazioni. In questo i nuovi strumenti digitali ci possono essere di grande aiuto. Ma la tecnologia dovrà sempre di più integrarsi con la pratica clinica, non potrà mai sostituire la visita in presenza”.
Rivedi il Talk per la Salute del 28 gennaio. Quarantena e isolamento domiciliare hanno portato a un ricorso sempre più diffuso della telemedicina, soluzione molto utilizzata da medici e pazienti.
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