La malattia di Still dell’adulto
Intervista a Lorenzo Dagna, Responsabile dell’Unità Operativa di Immunologia, Reumatologia, Allergologia e Malattie Rare dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano
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Intervista a Lorenzo Dagna, Responsabile dell’Unità Operativa di Immunologia, Reumatologia, Allergologia e Malattie Rare dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano
Febbre alta, eruzioni cutanee color rosa pallido, dolori articolari (artriti o artralgie), dolori muscolari e addominali, faringite, ingrossamento dei linfonodi, aumento di volume della milza (splenomegalia) e, talvolta, anche del fegato, pleurite e pericardite. Sono i principali sintomi della malattia di Still dell’adulto, patologia "variante sistemica" dell'artrite reumatoide. Nessuno di questi sintomi, tuttavia, è sufficiente a stabilire che si tratti della rara patologia autoinfiammatoria. Per questa ragione la diagnosi è spesso una “diagnosi di esclusione”.
“Una complicanza rara, ma grave e potenzialmente fatale, di tale malattia è la Sindrome da attivazione macrofagica (MAS) – afferma Lorenzo Dagna, Responsabile dell’Unità Operativa di Immunologia, Reumatologia, Allergologia e Malattie Rare dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano -, ovvero una patologia del sistema immunitario, derivante da un disordine delle capacità immunoregolatrici. Gli esami di laboratorio mostrano tipicamente un significativo incremento degli indici di infiammazione sistemica, una leucocitosi neutrofila (un numero eccessivo di un tipo di globuli bianchi nel sangue) e una spiccata elevazione dei valori di ferritina”.
Le cause di questa condizione, considerata come la controparte con insorgenza nell’adulto dell’artrite idiopatica giovanile sistemica, non sono ancora note. “Tuttavia – spiega Dagna – è stato ipotizzato che alcuni agenti infettivi (virus o batteri) e alcuni fattori genetici interagendo tra di loro possano avere un ruolo nella genesi di tale malattia, ma i dati sono ancora contrastanti. Di certo, sappiamo che nelle persone affette da tale malattia sono presenti elevati livelli di citochine infiammatorie, le sostanze prodotte dal sistema immunitario deputate a scatenare e ad amplificare l’infiammazione”.
La malattia di Still dell’adulto è una condizione rara. “Uno studio francese - ricorda il prof. Dagna - ha stimato un'incidenza annuale di tale malattia pari a 1,6 casi ogni milione di persone. Uomini e donne possono esserne affetti in modo simile. Esistono due fasce anagrafiche in cui l’esordio di malattia è più frequente: tra i 16 e i 25 anni e tra i 36 e i 46 anni di età. Tuttavia, sono stati segnalati pazienti con insorgenza in età anche superiore ai 70 anni”.
La gestione della malattia di Still dell'adulto è complessa già a partire dalla diagnosi, poiché nella maggior parte dei casi per poter riconoscere tale condizione è necessaria una diagnosi di esclusione. “Occorre, non solo documentare la presenza delle caratteristiche cliniche e di laboratorio della malattia – sottolinea Dagna - ma anche l’assenza di altre diagnosi che possano causare sintomi e alterazioni simili. Debbono essere in particolare escluse numerose malattie infettive, neoplastiche, autoimmuni, auto-infiammatorie e dermatologiche che possono manifestarsi in modo molto simile”.
Obiettivo della terapia: controllare i segni e sintomi legati all'infiammazione, prevenire i danni agli organi coinvolti dalla malattia, minimizzando il rischio di effetti collaterali.
“In generale – conclude Dagna - il trattamento dipende dalla gravità delle manifestazioni associate alla malattia. Le forme lievi sono trattate con anti-infiammatori o basse dosi di cortisone. Le forme moderate con cortisone a dosaggi più elevati, spesso in associazione con farmaci immunosoppressori che hanno lo scopo di permettere una riduzione dei dosaggi di cortisone. In caso di fallimento di queste terapie o nelle forme più gravi di malattia, vengono impiegati farmaci biologici in grado di neutralizzare le citochine proinfiammatorie che sono massimamente responsabili della patogenesi della malattia (interleuchina-1β e interleuchina-6 in particolare). Dati recenti di letteratura sembrano suggerire l’opportunità di anticipare il trattamento con farmaci biologici, al fine di migliorare la prognosi a lungo termine della malattia”.
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