Oltre 40.000 persone, secondo l’Associazione Nazionale Malati Reumatici, in Italia fanno i conti con un dolore che ha una causa ben precisa, ma che purtroppo viene scoperta dopo mesi o addirittura anni e che, se non trattata adeguatamente, potrebbe portare a una progressiva riduzione della capacità di movimento della colonna vertebrale, fino potenzialmente ad arrivare alla conformazione della cosiddetta “canna di bamboo”.
È la spondilite anchilosante, malattia infiammatoria cronica, la cui diagnosi spesso è tardiva. Fa la sua comparsa con un dolore che si concentra nella zona lombare, fino a irradiare bacino e glutei, insidioso e persistente per almeno tre mesi. Un dolore non acuto che insorge e peggiora stando a riposo, anche di notte, mentre migliora con il movimento e l’esercizio fisico. Dunque, non si tratta del classico mal di schiena meccanico, con il quale ha davvero poco in comune.
Quest’ultimo esordisce a qualunque età, con una manifestazione clinica variabile, il più delle volte dolore associato a lesioni o a strappi che migliora a riposo e lieve rigidità mattutina di breve durata.
Al contrario, la spondilite anchilosante esordisce in giovane età, con particolare predilezione per i soggetti di sesso maschile, e tende ad avere una evoluzione molto lenta. Non è una patologia frequente, infatti coinvolge meno dell’1% della popolazione. E, nonostante il mal di schiena rappresenti un’esperienza assolutamente comune, la sintomatologia del paziente affetto da spondilite anchilosante è assolutamente invalidante.
Tra i tratti distintivi della spondilite anchilosante: rigidità mattutina che interessa la colonna vertebrale e le articolazioni per almeno 30-45 minuti e dolore alternato nella zona lombare e glutei. Fitte lancinanti che non consentono riposo - chi ne è affetto è costretto a continui risvegli durante la notte - e regrediscono solo grazie all’esercizio fisico e il movimento.
Nelle fasi più avanzate il processo infiammatorio può risalire lungo la colonna vertebrale e interessare anche la regione dorsale e cervicale, con tendenza nelle fasi più avanzate alla anchilosi vertebrale. In questo caso si assiste a una compromissione della normale curvatura della colonna vertebrale con tendenza alla gibbosità. Questa conformazione, frequentemente osservata negli anziani, deve immediatamente portare il medico al sospetto diagnostico di spondilite anchilosante quando dovesse essere riscontrata in giovane età. È chiaro che in tali condizioni il paziente può avere difficoltà nello svolgimento di molteplici attività della vita quotidiana, come guidare l’autovettura o restare seduto a lungo.
Come se non bastasse, talvolta il paziente è costretto a fare i conti anche con altri disturbi: episodi di infiammazione al tendine di Achille, dolori a carico del calcagno e/o della regione plantare, infiammazioni agli occhi con dolore, arrossamento e ipersensibilità alla luce (uveite).
Nonostante contro la spondilite anchilosante, esistano trattamenti efficaci, il problema vero della patologia è il ritardo diagnostico inaccettabile, che fa perdere l’opportunità di accedere a cure che ottengono il massimo del risultato quando iniziate molto precocemente. Secondo un sondaggio condotto da Anmar Onlus (Associazione Nazionale Malati Reumatici), il 60% dei malati ha dovuto aspettare più di tre anni dalla comparsa dei primi sintomi evidenti prima di avere una diagnosi, solo il 29% sostiene di aver una buona qualità di vita e otto su dieci affermano di provare un senso di smarrimento e la necessità di parlare con qualcuno del proprio disagio anche attraverso il web. "Ma per una diagnosi di spondilite anchilosante - afferma Silvia Tonolo, presidente di Anmar - ci sono pazienti che aspettano anche 7-8 anni. E senza una diagnosi precoce è impossibile mettere in stand-by la malattia”.
La diagnosi viene generalmente effettuata sulla base del quadro clinico, degli esami di laboratorio e degli esami strumentali. Il reumatologo deve considerare tutti e tre questi elementi e verificare che siano concordi con il sospetto diagnostico.
Ad oggi vi sono ottimi trattamenti per arrestare la progressione della patologia e controllarne i sintomi. Gli obiettivi prioritari nella gestione terapeutica della malattia sono l’attenuazione del dolore e della rigidità per ripristinare e mantenere la corretta postura e un’ottima mobilità articolare.
Ma per garantire migliori condizioni di vita ai pazienti bisogna favorire interventi terapeutici tempestivi. Fondamentale diventa quindi il ruolo del medico di medicina generale, interpellato alla comparsa dei sintomi iniziali nel 45% dei casi, nell’indirizzare il paziente verso lo specialista più appropriato per la patologia ovvero: il reumatologo.
Anche le abitudini di vita rivestono un ruolo fondamentale nella patologia, potenzialmente in grado di influenzare positivamente lo stato di salute, come ad esempio una dieta equilibrata, un sonno ristoratore e il supporto psicologico da parte della famiglia e degli amici.
Altrettanto fondamentale è l’importanza dell’attività fisica mirata nella spondilite anchilosante che se svolta quotidianamente, aiuta a mantenere una postura corretta, contribuisce a migliorare l’escursione articolare e svolge un’azione antalgica. È tuttavia importante farsi guidare, soprattutto all’inizio, dal fisiatra e fisioterapista al fine di ottenere il massimo beneficio.
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