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Si manifesta in pazienti complessi, in prevalenza donne e anziani costretti a fare i conti anche con ansia e depressione. È Il dolore cronico benigno, una condizione che compromette la qualità della vita e le relazioni personali  di 16 milioni di italiani (il 60 per cento ha più di 65 anni) per i quali il dolore protratto e costante causa sempre più spesso l'insorgere di disturbi depressivi. Non a caso, uno dei servizi offerti dai centri di terapia del dolore è il sostegno psicologico.

“Per dolore cronico benigno si intende il dolore non neoplastico – spiega Antonino Mazzone, direttore del Dipartimento Area medica dell'Asst Ovest Milanese -. Dal punto di vista della patogenesi possiamo classificarlo in dolore nocicettivo e dolore neuropatico. Le principali cause del dolore nocicettivo, ovvero un dolore da infiammazione, sono l’osteoartrosi, l’osteoartrite, l’artrite, la polimialgia reumatica (l’infiammazione del rivestimento delle articolazioni), la lombalgia e le coliti. L’altro grande capitolo  è il dolore neuropatico dove la patogenesi è dovuta ad un’alterazione della trasmissione del segnale, e correla con il territorio di innervazione di un nervo. Ad esempio il dolore neuropatico del paziente diabetico, l’infezione da herpes zooster, la sindrome dell’arto fantasma, cioè la sensazione anomala di persistenza di un arto dopo la sua amputazione o dopo che questo sia diventato insensibile”.

Secondo l'indagine Pain in Europe sul dolore cronico (46.000 intervistati), il 35 per cento dei pazienti riferisce di provare dolore sempre, e un quinto ammette di convivere con la sofferenza per oltre 20 anni. In media una persona nell'arco della sua vita è afflitta da questa condizione per 7,7 anni. Un vero e proprio calvario per pazienti, familiari e caragiver.

“Per questi pazienti ci sono tre tipi di  terapie – sottolinea Mazzone -.  Abbiamo la terapia eziologica con farmaci biologici per l’artrite, in grado di far regredire il dolore in oltre l’80 per cento dei pazienti. C’è poi la terapia antinfiammatoria per tutte le patologie infiammatorie,  a base di  cortisone e antinfiammatori non steroidei, somministrati con le dovute precauzioni, ove non siano controindicati,  nei pazienti anziani affetti da ipertensione, scompenso cardiaco ed insufficienza renale. Infine, c’è la terapia con farmaci oppioidi e similari (anche cerotti settimanali) il cui dosaggio può essere determinato con varie formulazioni farmaceutiche in base all’effetto sul dolore. Farmaci che possono essere utilizzati anche in persone con varie patologie. A questi farmaci per il dolore neuropatico se ne possono associare altri più specifici, in particolare antiepilettici che possono  esser molto utili nel dolore  neuropatico”. 

Ma se nel nostro Paese il dolore cronico benigno colpisce duro,  in Europa non va meglio: un cittadino europeo  su 5 vive con dolore cronico e questo causa - secondo il Societal Impact of Pain 2019 -  quasi il 50 per cento  di tutte le assenze dal lavoro e il 60 per cento dell'incapacità lavorativa permanente.

 “Il  dolore cronico non controllato modifica sostanzialmente la qualità  della vita il lavoro, la vita affettiva e di relazione – conferma il prof. Mazzone -. Dal punto di vista sociale ed economico,  molte sono le giornate lavorative perse per questa causa. Tutto questo determina ansia e depressione. Per questi motivi, l’associazione di una terapia cognitivo comportamentale, ovvero una terapia antidepressiva o ansiolitica, insieme alle cure farmacologiche, sia eziopatogenetiche che di cura del dolore, determina non solo una riduzione del dolore, ma anche un aumento significativo della qualità della vita. Ma spesso tutto questo non è sufficiente”.

Per  Mazzone, infatti,  l’attenzione all'aspetto psicologico è parte della cura. “Trascurarla – conclude - significa vanificare tutti gli sforzi terapeutici che facciamo sia con i farmaci eziologici sia con i farmaci specifici per il dolore. L’approccio psicologico è di primaria importanza per aiutare il paziente ad accettare la propria condizione e a gestire i rapporti con gli altri, la sua vita affettiva e lavorativa. E i fatti ci danno ragione. Tutte le attività di sostegno psicologico, svolte anche dalle associazioni dei  malati, sia singolarmente che in gruppo, hanno ottenuto risultati straordinari sul dolore e sull’accettazione della malattia da parte del paziente, con un netto miglioramento della qualità della vita”.

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