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Il melanoma è il più aggressivo e pericoloso tumore della pelle. Colpisce una popolazione mediamente giovane, tanto che negli under 50 è il secondo tumore più frequente tra gli uomini e il terzo tra le donne. Secondo le stime riportate da Aiom, Associazione italiana di oncologia medica, e Airtum, Associazione italiana registri tumori, oggi in Italia vivono 155mila persone con una pregressa diagnosi di melanoma, e l'incidenza è in continuo aumento.

Una mutazione per metà dei melanomi

Un grande passo in avanti è avvenuto però con l'individuazione della mutazione BRAF: «Il gene BRAF ha un ruolo fondamentale nel controllo della proliferazione dei melanociti, le cellule da cui origina il melanoma», spiega ad Alleati per la salute Giuseppe Palmieri, oncologo molecolare e past president dell’Intergruppo melanoma italiano. «La sua mutazione, presente nel 50 per cento circa dei melanomi, è capace di attivare in maniera abnorme la proliferazione cellulare neoplastica». Proprio il Prof. Palmieri fu parte del panel scientifico che portò nel 2002 alla scoperta e alla definizione del ruolo della mutazione BRAF nei tumori in generale e nel melanoma in particolare.

L'azione di BRAF e l'impatto clinico

Il gene BRAF fornisce infatti le istruzioni affinché la cellula produca la proteina omonima che controlla i processi di crescita e divisione cellulare. Se questo muta, viene prodotta una proteina anomala che continua a inviare il segnale di moltiplicazione che dà luogo alla crescita tumorale. «Nella maggioranza dei casi i pazienti con melanoma BRAF mutato hanno meno di cinquant'anni e un fototipo chiaro», spiega Paola Queirolo, direttore della Divisione melanoma, sarcoma e tumori rari all'Istituto Europeo di Oncologia di Milano. «Questo tipo di melanoma si manifesta in genere sulle aree non esposte cronicamente al sole e dunque su dorso, torace e gambe».

Un test molecolare indispensabile per il corretto iter diagnostico-terapeutico del paziente. Negli anni è stata sempre più chiara la rilevanza di questa mutazione da un punto di vista diagnostico e clinico: «La sua valenza predittiva è importante per valutare le possibilità di risposta alle terapie mirate alla mutazione, le cosiddette targeted therapies», prosegue Palmieri. La determinazione della mutazione BRAF, eseguita sul campione di tessuto asportato, dovrebbe essere quindi sempre eseguita: «Come da linea guida dell'Associazione italiana di oncologia medica deve essere condotto, nel caso del melanoma, quando la malattia è al terzo stadio, ovvero quando c'è l’interessamento dei linfonodi locoregionali, e al quarto stadio, in cui sono invece già presenti metastasi ad altri organi».

Il test BRAF è tecnicamente fattibile in quasi tutti i centri oncologici del nostro Paese: «Insieme ad Aiom abbiamo condotto una valutazione circa la qualità del test per consentire una sua esecuzione ottimale sull'intero territorio italiano», aggiunge Queirolo. Eppure ad oggi, soprattutto nelle fasi precoci della malattia (Stadio III) la determinazione di BRAF non è ancora eseguita di default: ciò significa che il team multidisciplinare costituito da dermatologo, chirurgo, anatomopatologo e oncologo deve lavorare in sinergia per assicurare una tempestiva diagnosi e cura del paziente.

L’esecuzione del test BRAF è fondamentale per la scelta del trattamento terapeutico, in quanto apre la possibilità ad un’opzione di trattamento personalizzata con terapie a bersaglio molecolare per i pazienti affetti melanoma.

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