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In Italia 1milione e 200mila persone soffrono di scompenso cardiaco cronico, una condizione che riduce la capacità del cuore di contrarsi. Il muscolo cardiaco non è più in grado di pompare sangue ai vari organi che quindi non ricevono più ossigeno a sufficienza. Tutto ciò provoca difficoltà respiratorie, spossatezza e affaticamento. L’insufficienza cardiaca è uno dei big killer della cardiologia, che colpisce in particolare gli over65, nel nostro Paese è la prima causa di ricovero ospedaliero con una spesa stimata per il Servizio sanitario nazionale di oltre 650 milioni di euro l’anno, secondo i dati dell’Associazione italiana scompensati cardiaci (www.associazioneaisc.org).

La malattia

La malattia, oltre ad avere un costo sociale molto oneroso, ha un notevole impatto sulla qualità della vita del paziente ma, soprattutto, lo scompenso cardiaco è gravato da un elevato tasso di mortalità: oltre il 25% dei pazienti muore entro un anno dalla diagnosi e circa la metà entro 5 anni ed è stato stimato che ogni ricovero ospedaliero correlato allo scompenso triplichi il rischio di morte entro 12 mesi. Inoltre la prevalenza della malattia aumenta di circa il 2% per ogni decade di età sino a raggiungere almeno il 10% nei pazienti over 70.

“Lo scompenso cardiaco – afferma Maria Rosaria Di Somma, consigliere delegato di Aisc – è una patologia cronica, progressiva, invalidante e molto complessa da curare: riguarda l’anziano che, quasi sempre, oltre allo scompenso cardiaco ha anche altre malattie croniche. Ciò fa sì che abbia bisogno di un sistema di cure più complesso. Eppure, ad oggi in Italia non esistono centri per lo scompenso cardiaco. Non solo, nel Ssn la visita specialistica per lo scompenso cardiaco non è prevista, è infatti inserita nella visita cardiologica. È evidente che tutto questo incide pesantemente sulla cura della patologia e conseguentemente sulla qualità di vita del paziente e dei suoi familiari”.

Sintomi

“Colpisce prevalentemente pazienti con storia di ipertensione arteriosa e portatori di danni d’organo cardiaci – aggiunge Damiano Parretti, Responsabile nazionale Area Cardiovascolare SIMG (Società italiana di medicina generale e delle cure primarie) –. Lo scompenso cardiaco si manifesta clinicamente in modo eterogeneo”. Alcune volte con “respiro corto, dolore e gonfiore alle estremità – aggiunge Parretti – aumento di peso, tosse con espettorato, frequente minzione. Altre volte, invece, fa la sua comparsa con sintomi come debolezza, disturbi del sonno, confusione, perdita di coscienza, congestione e ritenzione idrica, oltre alla riduzione della portata cardiaca”.

Diagnosi

La diagnosi precoce è importante per poter intervenire prima sui danni “ma soprattutto è fondamentale una prevenzione primaria – sottolinea Parretti –. Occorre intervenire in modo tempestivo per intercettare i fattori di rischio affinché lo scompenso cardiaco non si manifesti. I campanelli d’allarme sono tanti proprio per la difformità e le diverse manifestazioni cliniche con cui si evidenzia lo scompenso cardiaco. Il medico di medicina generale di fronte ai suoi pazienti che abbiano alcune caratteristiche e fattori di rischio deve essere attento se si verifica una riduzione di resistenza allo sforzo oppure una riduzione idrica, con edemi, gonfiore alle caviglie, incremento di peso, difficoltà respiratorie”.

“Una delle maggiori criticità nella gestione della patologia – spiega Di Somma – è rappresentata dalla diagnosi tardiva, spesso i sintomi vengono sottovalutati sia dal paziente che dal medico per cui, nella maggior parte dei casi, la diagnosi di scompenso cardiaco avviene nella fase acuta, ovvero durante la ospedalizzazione”.

Approccio multidisciplinare

La gestione dello scompenso cardiaco, secondo gli esperti, non può prescindere da un approccio multidisciplinare (medico di base, specialista ambulatoriale e ospedaliero) e, laddove sia possibile, il supporto da parte di un caregiver, termine per indicare “colui che si prende cura” e si riferisce naturalmente a tutti i familiari che assistono un loro congiunto ammalato e/o disabile.

“Lo scompenso cardiaco è una patologia a gestione integrata – non ha dubbi Damiano Parretti, Responsabile nazionale Area Cardiovascolare SIMG (Società italiana di medicina generale e delle cure primarie) –. Il sospetto diagnostico deve essere a carico del medico di medicina generale  ma il cardiologo è essenziale sia per un inquadramento diagnostico iniziale e preciso e poi in follow-up. Ovvero, quando, nonostante la terapia, si verificano aumento di peso, dispnea, confusione mentale e segni di alterazioni della funzione renale. Il medico di medicina generale deve fare sempre un monitoraggio proattivo, non attendere il paziente ma cercarlo, seguire la sua condizione clinica generale attraverso alcuni parametri che possono essere rilevati e trasmessi anche telefonicamente, come per esempio la pressione arteriosa, la frequenza cardiaca, la saturazione d’ossigeno e il monitoraggio del peso corporeo. La gestione dello scompenso cardiaco deve essere integrata e comprendere: cardiologi, internisti, nefrologi, infermieri specializzati”.

“Come Associazione – aggiunge Maria Rosaria Di Somma, consigliere delegato di Aisc, (Associazione italiana scompensati cardiaci) – oltre che evidenziare la carenza di informazione sulla patologia e la sottovalutazione della stessa anche a carattere istituzionale, nonostante rappresenti la prima causa di ospedalizzazione e registri un alto tasso di mortalità, riteniamo che una gestione efficace dello scompenso cardiaco debba essere di tipo integrato e interdisciplinare. Un tale modello è basato su un’assistenza coordinata ed incentrata sulla persona, adattata alle esigenze del paziente e del suo caregiver. I membri dell’equipe (cardiologo, geriatra, internista, specialista per la riabilitazione cardiaca e gli altri specialisti a seconda delle altre patologie di cui è affetto il paziente) devono coordinarsi tra loro, in modo particolare con il medico di medicina generale, nonché il paziente e l’infermiere specializzato, possibilmente attraverso un sistema di comunicazione di tipo digitale quale il Fascicolo sanitario elettronico che permette in tempo reale la conoscenza della vita clinica del paziente. E per garantire la presa in carico totale dell’assistito, insieme a tutti quegli interventi multi professionali e multidisciplinari che ne conseguono, il modello da adottare è quello dei PDTA (Percorso diagnostico terapeutico assistenziale) per migliorare la qualità e l’efficienza delle cure al paziente scompensato. Per questo motivo Aisc da anni è portavoce, a livello istituzionale, della impellente necessità di implementare i PDTA, peraltro previsti dal Piano Nazionale delle Cronicità varato dal Ministero della Salute”.

Telemedicina

La pandemia ha avuto ed ha un pesante impatto anche sul paziente scompensato “e sul monitoraggio dell’evoluzione della malattia – afferma Di Somma – ancora oggi trascurata dal paziente per tre motivi: perché evita di andare in ospedale o nell’ambulatorio per paura del contagio, perché il sistema sanitario sta dando priorità ai pazienti Covid e perché lo stesso scompensato ha difficoltà a contattare il proprio medico di medicina generale. Fortunatamente, la telemedicina è stata e continua ad essere un valido strumento che assicura, seppure in remoto, la continuità della cura e dell’assistenza. In alcuni casi, attraverso il telemonitoraggio è stato possibile seguire l’evoluzione della patologia ed evitare il ricovero in ospedale soprattutto di quei pazienti portatori di device. Dall’inizio della pandemia, Aisc ha messo a disposizione del paziente, oltre ai sistemi tradizionali, anche la possibilità di effettuare un teleconsulto con vari specialisti del Comitato Scientifico e l’iniziativa, oltre che incontrare la piena soddisfazione del paziente, sta intervenendo in alcuni casi in situazioni di evoluzione della malattia molto preoccupante e molto vicina alla fase acuta”.

“La telemedicina – conclude Parretti – ci ha aiutato moltissimo. Grazie alle possibilità incredibili che questo strumento può offrire, ci permette di seguire trasversalmente, attraverso indagini di secondo livello, e monitorare diversi pazienti con un quadro clinico complesso come quello di chi è affetto da scompenso cardiaco”.

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