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La ricerca biomolecolare, negli ultimi anni, ha segnato importanti risultati nell’ambito del tumore del polmone non a piccole cellule (NSCLC, non-small-cell lung cancer), circa il 50% dei tumori polmonari. L’identificazione di numerose alterazioni bimolecolari a carico delle cellule tumorali è in grado di condizionare l’evoluzione della stessa malattia perché alcune di queste alterazioni sono diventate il bersaglio di farmaci mirati definiti target therapy.

A differenza della chemioterapia o dei trattamenti immunoterapici, le terapie target sono altamente specifiche per il tipo di tumore che presenta la mutazione genetica in questione, e presentano un profilo clinico di rischio/beneficio sensibilmente migliore rispetto alle alternative terapeutiche, oltre ad essere, nella maggior parte dei casi, farmaci orali. È dunque di fondamentale importanza avere dei test diagnostici appropriati ed efficienti che permettano di individuare correttamente le alterazioni tumorali che consentano quindi di utilizzare le terapie target specifiche.

Le cure a target migliorano non solo la qualità, ma anche la quantità di vita

“I dati di letteratura sono chiari nell’evidenziare che i pazienti con un tumore che presenta una alterazione molecolare, se ricevono terapie specifiche (target), personalizzate, hanno una sopravvivenza superiore rispetto a chi è trattato con la chemioterapia tradizionale. L’aspettativa di vita infatti passa dai 6-9 della chemioterapia agli oltre 5 anni con la target terapy. - spiega la dottoressa Chiara Bennati medico responsabile di Oncologia degenza all’ospedale Santa Maria delle Croci di Ravenna -. I vantaggi della target therapy sono poi in termini di una migliore tollerabilità delle cure, perché gli effetti collaterali sono più gestibili, ma anche nella somministrazione. Queste cure infatti sono compresse da assumere per bocca, quindi la terapia può essere fatta a casa: non serve recarsi all’ospedale”.

Le mutazioni bersaglio dei farmaci target

Negli ultimi anni si sono individuate una serie di mutazioni. Le più frequenti sono EGFR il BRAF, HER2, MET, KRAS e le fusioni geniche ROS1, ALK, RET e NTRK.
Tutti i pazienti devono essere testati per la presenza di queste mutazioni all’interno dell’iter diagnostico perché è un passaggio fondamentale per individuare il trattamento antitumorale più appropriato e personalizzato. “Questi test sono previsti dalle linee guida – continua la dottoressa Bennati-. Sono eseguiti su indicazione dell’oncologo in modo routinario. In base alla mutazione al tumore al polmone NSCLC che viene individuato dal test, l’oncologo è in grado di impostare una terapia target personalizzata”.

Trattamento per pazienti che non presentano le mutazioni note

Esistono dei sottotipi di tumore del polmone che esprimono un ligando PDL1 che li rende più sensibili a un trattamento che è l’immunoterapia. “Pazienti che hanno PDL1 superiore al 50% sono candidati a un trattamento di immunoterapia – spiega l’oncologa -. Questa non è a target, ma potenzia il sistema immunitario contro il tumore. Di solito viene usata nei pazienti che non hanno mutazioni molecolari”. Nel caso in cui i pazienti presentano PDL1 inferiore al 50% si procede con la combinazione chemio e immunoterapia.

Le mutazioni si cercano anche in caso di recidive

La ricerca delle mutazioni tumorali è fondamentale non solo in fase di diagnosi, ma anche nel momento in cui si presenta una recidiva. “Quando il paziente smette di rispondere al trattamento personalizzato (va in progressione), è fondamentale ripetere la biopsia per caratterizzare nuovamente la terapia – dice la dottoressa Bennati - Ci sono cure che vincono la resistenza al tumore quando va in progressione. Ci sono dei meccanismi di resistenza noti e per i quali la ricerca delle mutazioni è importante non solo in fase iniziale, di diagnosi, ma anche in corso di malattia che, va ricordato, ha un andamento dinamico. Le caratteristiche stesse del tumore cambiano nel tempo” e individuare la mutazione fa una differenza sostanziale per il paziente in termini di qualità e quantità di vita.

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