Quasi tutti verso il Centro-Nord. Per avere una diagnosi il 31,2% ha atteso più di 10 anni
Due persone su tre colpite da malattie rare, il 66%, costretti a spostarsi per curarsi. E' quanto emerge dall’Osservatorio civico sul federalismo in sanità, giunto alla sua ottava edizione, presentato oggi da Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato nel corso di un webmeeting. Attraverso un'indagine civica volta a verificare lo stato attuale di vita e di cura delle persone affette da una malattia rara, Cittadinanzattiva ha raggiunto 724 pazienti, prevalentemente donne (73%), il 50,4% ha un'età compresa tra i 41 ed i 60 anni, di tutte le regioni italiani ad eccezione del Molise.
L’81,3% degli intervistati è affetto da una patologia rara riconosciuta dal decreto ministeriale n.279/2001, ma il 16,2% non sa nemmeno se la patologia è ufficialmente riconosciuta o no. Ben il 23,5% dei pazienti non è in cura in un centro che fa parte della rete delle malattie rare. E se due pazienti su tre sono costretti a spostarsi per curarsi, la 'migrazione' per quasi tutti è verso il Centro/Nord, in prevalenza verso la Lombardia (19%), il Piemonte (13,9%), il Lazio (13%), la Toscana (11,7%), il Veneto (9,8%) e l’Emilia Romagna (7,3%). Per quanto riguarda il Mezzogiorno il punto di riferimento è rappresentato dalla Campania (4,7%).
Per giungere alla diagnosi, ben il 31,2% dichiara di aver atteso più di 10 anni, il 23% dichiara di averci messo dai 2 ai 10 anni, dobbiamo arrivare al 12,5% del campione per arrivare ad un’attesa accettabile (meno di sei mesi). Sorprende la quota pari al 7,2% di persone che è arrivato da solo a formulare il dubbio diagnostico, con una ricerca su internet, con un programma o una pubblicità in televisione, o ancora con un articolo su una rivista.
E ancora, durante il periodo di emergenza Covid-19 e di lockdown il 65% ha avuto grandi difficoltà, in particolare per l'interruzione della assistenza specialistica (43,7%), il 36,2% ha riscontrato problemi nel poter continuare la terapia, l'8,2% si è trovato senza assistenza personale, con l'impossibilità di muoversi e un aiuto nel compiere atti quotidiani come vestirsi, lavarsi. C'era anche il timore di recarsi nella farmacia territoriale per paura di contrarre il virus (25,4%) o l'impossibilità di proseguire la terapia a causa della chiusura del day hospital (18,9%). Ancora, il 13,6% ha avuto difficoltà nella consegna dei farmaci a domicilio.
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