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Interessa tutte le età, anche le fasce più giovani: sotto i 49 anni rappresenta il secondo tumore per incidenza negli uomini e il terzo nelle donne. È il melanoma, per il quale “l’Associazione Italiana Registri Tumori (AIRTUM) per il 2020 stima poco meno di 15mila nuovi casi, con una leggera prevalenza per i maschi (55% con 8mila nuovi casi). È importante che il paziente venga seguito da un team che comprenda dermatologo, chirurgo e oncologo”.

Per Jacopo Pigozzo, medico specialista in Oncologia all’Istituto Oncologico Veneto IRCCS di Padova, la gestione dei pazienti affetti da melanoma – anche nella fase post Covid – deve avvenire nell’ambito di gruppi multidisciplinari.

“Il ruolo del dermatologo è fondamentale – afferma Pigozzo – perché rappresenta il primo step diagnostico. È infatti il dermatologo che permette la diagnosi del melanoma. E sappiamo come una diagnosi precoce sia un punto chiave per il decorso successivo della malattia: più tempestiva è la diagnosi maggiori sono le possibilità di guarigione. Inoltre, la dermatologia è un servizio presente sul territorio, e per il paziente è la porta d’ingresso nel gruppo multidisciplinare. Sappiamo bene che oggi non si può più ragionare a compartimenti stagni quando si pensa al trattamento di un tumore, e questo vale anche per il melanoma. Insieme al dermatologo determinante è anche la figura del medico di famiglia: insieme non solo permettono di arrivare alla diagnosi in tempi brevi ma indirizzano il paziente verso un percorso ospedaliero”.

Il paziente, dopo essersi rivolto al proprio medico curante e al dermatologo, “arriva all’oncologo, non prima però di essersi sottoposto ad un percorso chirurgico – sottolinea l’esperto - perché l’oncologo si occupa della terapia medica che oggi si somministra sostanzialmente in due situazioni: terapia preventiva nei pazienti operati (la cosiddetta terapia adiuvante che permette di ridurre il rischio che il tumore si ripresenti) e nei casi di quei pazienti che non sono operabili”.

Grazie alla telemedicina, al teleconsulto e alle terapie orali, la gestione del paziente con melanoma anche in epoca Covid-19 è stata assicurata senza problemi. “Queste opzioni ci hanno dato un aiuto importante – ricorda Pigozzo – nei 20 mesi appena trascorsi. Nella prima fase, durante la quale abbiamo dovuto rivedere l’organizzazione delle strutture ospedaliere, riuscire a gestire i pazienti a distanza ha rappresentato certamente un vantaggio non indifferente perché da una parte consentiva ai pazienti di ridurre l’accesso agli ospedali e dall’altra ci permetteva di seguirli direttamente a domicilio. Ad un gruppo di pazienti selezionati che non avevano particolari esigenze, abbiamo garantito la somministrazione delle terapie orali da eseguire facilmente a casa, anche grazie alla consegna dei farmaci a domicilio. Tutto questo ci ha permesso di tutelare i pazienti stessi dal rischio contagio e di ridurre il numero degli accessi in ospedale”, soprattutto nelle prime fasi della pandemia.

In merito al follow-up nel melanoma e il rapporto medico specialista - paziente, Pigozzo non ha dubbi: “Il follow-up è fondamentale, fa parte di qualsiasi percorso di cura del paziente. È strutturato nei centri dove esiste un gruppo multidisciplinare e ci permette arrivare all’obiettivo principale: individuare un’eventuale recidiva in fase precoce in modo di poter aumentare le chance di cura e le aspettative di vita del paziente. Ovviamente, è importante il rapporto paziente-specialisti perché nel follow-up del paziente con malattia in stato avanzato, quindi già visto da dermatologo, chirurgo e oncologo, il paziente deve essere seguito e valutato nel tempo da più specialisti”.

“Il ritorno ai luoghi di cura”, spiega l’oncologo, “è ormai un dato di fatto. L’ospedale è sicuro, l’attività relativa alla gestione del paziente con melanoma è sostanzialmente in linea con quella del periodo pre-covid con visite e controlli in presenza. Ovviamente, rispetto a prima della pandemia vengono osservati vari step di sicurezza (controllo degli accessi, distanziamento, igienizzazione delle mani, l’uso della mascherina) che prima non c’erano ma che dobbiamo mantenere perché sono fondamentali per garantire la sicurezza del paziente”.

All’Istituto oncologico Veneto durante la piena pandemia e nel post-emergenza per la gestione dei pazienti con melanoma “fin da subito abbiamo attuato dei percorsi ad hoc per i pazienti – ricorda Pigozzo – ai quali, una volta giunti al triage, veniva controllata la temperatura e l’orario della visita per ridurre il numero di persone contemporaneamente presenti nella struttura. Quindi, ci siamo impegnati a vaccinare tutti i nostri pazienti direttamente in istituto, in modo che avessero un solo punto di riferimento, anziché rivolgersi ai centri vaccinali diversi. Ad oggi le misure di sicurezza anti covid restano”.

Nei venti mesi di pandemia il numero dei pazienti seguiti dall’Istituto Oncologico Veneto “non ha registrato flessioni – conclude Pigozzo - non siamo mai stati un centro covid, di conseguenza nessuno dei nostri servizi ha subito ritardi né modifiche. Tutti i pazienti hanno ricevuto le cure esattamente come prima che esplodesse l’emergenza sanitaria. Nella mia Unità di Oncologia del Melanoma vediamo oltre 300 nuovi casi all’anno che necessitano della valutazione oncologica. Inoltre, disponiamo di 5 ambulatori di cura, aperti ogni mattina dal lunedì al venerdì, dove assistiamo 18-20 pazienti al giorno e di due ambulatori al pomeriggio per controlli e prime visite, che abbiamo mantenuto anche in piena pandemia affidandoci alla telemedicina per i controlli, oggi in presenza. Infine, abbiamo mantenuto una volta la settimana la riunione di team multidisciplinare per valutare casistiche e percorsi. Sostanzialmente per i pazienti, dal punto di vista dell’assistenza, non è cambiato assolutamente nulla”. 

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