Colesterolo e cuore, cosa c'è da sapere
Intervista al prof. Claudio Borghi, Direttore dell’Unità Operativa di Medicina Interna al Policlinico S. Orsola-Malpighi di Bologna e del Centro Aterosclerosi e Dislipidemie
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Intervista al prof. Claudio Borghi, Direttore dell’Unità Operativa di Medicina Interna al Policlinico S. Orsola-Malpighi di Bologna e del Centro Aterosclerosi e Dislipidemie
Il colesterolo è una sostanza fondamentale per il buon funzionamento del nostro organismo, in quanto essenziale per la crescita fetale, per la costruzione delle membrane cellulari e per la sintesi di ormoni e vitamine, che condividono con il colesterolo stesso la struttura biochimica. “Tuttavia, la quantità di colesterolo necessaria per fare fronte a queste necessità è molto contenuta (circa 30 mg/dL) e molto al di sotto dei livelli che normalmente circolano nell’uomo (in media, 4-5 volte superiore) – spiega il prof. Claudio Borghi, Direttore dell’Unità Operativa di Medicina Interna al Policlinico S. Orsola-Malpighi di Bologna e del "Centro Aterosclerosi e Dislipidemie" -. Questa caratteristica è tipica dei primati come l’uomo e non si riscontra in altre specie animali: è effetto di una deriva evoluzionistica che ha permesso all’uomo di rafforzare la propria presenza di specie, attraverso lo sviluppo di una progenie sempre più forte e in grado di adeguarsi alla vita nel mondo emerso”.
Il vantaggio evoluzionistico ha però un prezzo da pagare, rappresentato in questo caso dal fatto che “il colesterolo in eccesso rispetto alle necessità essenziali – continua il professore - tende ad accumularsi e a depositarsi soprattutto a livello della parete arteriosa, dove contribuisce in maniere determinante allo sviluppo delle malattie aterosclerotica e delle sue complicanze principali, rappresentate dalle malattie cardiovascolari, infarto miocardico e ictus in primo luogo. Questa condizione pone la necessità ineludibile di mettere sotto controllo i nostri valori di colesterolo nel corso della vita: una necessità tanto più cogente quanto più elevati sono i livelli circolanti di colesterolo rispetto alla quota necessaria e a quella che può essere metabolizzata con successo da parte del nostro organismo”.
In termini strettamente biochimici il colesterolo è un grasso e come tale insolubile nel sangue circolante: per questo motivo, può essere trasportato solo all’interno di speciali “contenitori a tenuta”, le lipoproteine, che ne permettono gli spostamenti da e per i tessuti nei quali lo stesso viene sintetizzato o depositato. “Oggi molta della attenzione in termini di prevenzione cardiovascolare è concentrata sul cosiddetto colesterolo-LDL (LDL) ossia quello che viene trasportato da speciali lipoproteine (appunto Low Density Lipoprotein-LDL) che ne condizionano la capacità di raggiungere la parete arteriosa dopo che esso è stato sintetizzato da parte soprattutto del fegato o assorbito a livello del tubo digerente - osserva Borghi -. Quindi, considerata la complessità del meccanismo che sottende a livelli di LDL circolante, è utile precisare quali siano gli aspetti che è necessario conoscere in tema di colesterolo e in particolare di LDL”.
Si può affermare che “i limiti di sicurezza attestano la concentrazione di LDL al di sotto di 116 mg/dL nella popolazione sana – dice il professore - con valori target progressivamente più sfidanti fino a 40 mg/dL nei pazienti che abbiano sofferto di una malattia cardiovascolare come infarto miocardico o ictus”.
Solo questa riduzione adeguata dei livelli di LDL “può prevenire l’ulteriore accumulo di LDL a livello della parete arteriosa e la progressione della malattia aterosclerotica che, nei soggetti ad alto rischio, può accelerare il suo decorso anche in presenza di valori di LDL che risultano normali nei soggetti sani”, sottolinea Borghi.
Sostanzialmente la soluzione del problema risiede “nell’adozione combinata di adeguate modifiche dello stile di vita (dieta ipolipidica, attività fisica, controllo zuccheri e peso corporeo) - ricorda il professore - e di farmaci ipolipemizzanti il cui impiego risulta indispensabile nei pazienti ad alto rischio, soprattutto laddove si debbano raggiungere livelli estremamente sfidanti di LDL come quelli suggeriti in precedenza. Tra essi – continua Borghi -un ruolo di primo piano è quello giocato dalle statine, che hanno dimostrato una efficacia inconfutabile nel prevenire le malattie cardiovascolari, eventualmente associate a un inibitore dell’assorbimento di colesterolo, inibitori della proteina PCSK9 sia in forma di anticorpi monoclonali sia come il più recente silenziatore di Rna, tutti dotati della capacità di ridurre efficacemente i livelli di LDL in risposta a un numero molto ridotto di somministrazioni iniettive annuali”.
Questo è un problema di “tutte le malattie croniche che richiedono una somministrazione continuativa di farmaci e si chiama scarsa aderenza terapeutica – osserva l’esperto -. In pratica i pazienti cui viene prescritto un trattamento ipolipemizzante tendono a non assumerlo in modo corretto e, secondo gli studi, dopo solo 4 settimane dalla prescrizione di una statina, già il 30% dei pazienti non la assume in modo adeguato, mentre la percentuale sale al 50% dopo 12 mesi con una evidente limitazione di impatto delle strategie di prevenzione”.
Le cause sono varie ma “la più comune è la dimenticanza o la necessità di assumere altri farmaci contemporaneamente – spiega Borghi -, mentre l’incidenza di effetti indesiderati gioco un ruolo meno evidente e, molto spesso, non sostenuto dalla realtà dei fatti. Questa situazione genera problemi di tenuta della strategia di prevenzione e una larga variabilità individuale dei livelli di LDL, condizione che aumenta il rischio di malattie cardiovascolari al di là di quello intrinseco legato ai livelli di base di LDL”.
In primo luogo, serve “un maggior rapporto medico-paziente o l’adozione di stratagemmi che incrementino la capacità di ricordare l’importanza della assunzione della terapia. – precisa il professore -. Un buon successo può essere ottenuto combinando più farmaci nella stessa compressa in modo da ridurre il numero di somministrazioni giornaliere. Tuttavia – osserva Borghi -, una soluzione radicale potrebbe venire da un impiego più ampio di farmaci di derivazione biologica, come gli inibitori di PCSK, in grado di svolgere una solida azione ipolipemizzante a fronte di 2 somministrazioni annuali (e con evidenze disponibili che dimostrano il mantenimento di livelli di LDL del 20% al di sotto del valore di pazienza anche dopo 12 mesi da una singola somministrazione del farmaco). Questo approccio- conclude - farebbe cessare la schiavitù dalla compressa, che spesso viene vissuta come un vincolo alla qualità della propria vita e quindi inconsciamente o consciamente dimenticata”.
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