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La salute di cuore e rene è legata a doppio filo. La conferma arriva anche da uno studio recente che dimostra come l’attività fisica regolare protegga il cuore di persone con malattia renale cronica. Nei circa due anni di osservazione, lo studio pubblicato su European Journal of Preventive Cardiology - una rivista della Società Europea di Cardiologia (ESC) - dimostra infatti che chi segue i consigli dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sull’attività fisica (almeno 150 minuti a settimana di intensità moderata, come camminare, o almeno 75 minuti di intensità vigorosa, come correre) ha una salute globale migliore e riduce il rischio di eventi cardiovascolari.
Il risultato è talmente eclatante che il primo autore, Der-Cherng Tarng dell’Università Nazionale Yang-Ming, propone di integrare l’attività fisica nel trattamento consigliato per la cura della patologia renale cronica.

Si tratta del primo studio che misura la quantità ottimale di attività fisica nei pazienti con malattia renale cronica registrando che per i pazienti più costanti nel movimento fisico riducono di quasi il 40% il rischio di morte e di malattia cardiovascolare.

La malattia renale cronica colpisce circa 700 milioni di persone in tutto il mondo, circa il 7% della popolazione italiana (dati Società italiana di nefrologia). La perdita muscolare dovuta all’inattività fisica aumenta il rischio di malattie cardiovascolari, che è la principale causa di morte in questi pazienti. Nei pazienti in cui la malattia renale cronica progredisce verso lo stadio finale, il rischio di morte cardiovascolare (infarto, scompenso e ictus) è 10-20 volte più elevato rispetto alla popolazione generale. Rallentarne la progressione dell’insufficienza renale è quindi importante per la salute del cuore e la longevità.

La ricerca

Lo studio ha verificato il rapporto tra quantità di esercizio fisico e mortalità per tutte le cause, e gli eventi cardiovascolari in 4.508 pazienti con malattia renale in un periodo tra il 2004 e il 2017. Nessuno era in dialisi. I pazienti sono stati divisi in tre gruppi secondo l'attività fisica settimanale valutata con il questionario National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES): altamente attivi (minimo OMS o più), poco attivi (meno del minimo OMS) o inattivi (nessuna attività).

Sono stati classificati altamente attivi 1.915 pazienti, poco attivi 879 e inattivi, cioè sedentari, 1.714. Durante un follow-up mediano di circa due anni (686 giorni), 739 pazienti sono deceduti, 1.059 hanno sviluppato una malattia renale allo stadio terminale e 521 hanno avuto un evento cardiovascolare importante: infarto, ictus, ricovero per insufficienza cardiaca o morte per malattia cardiovascolare. Il gruppo altamente attivo ha avuto la più bassa probabilità di tutti questi esiti avversi, seguito a ruota dai gruppi poco attivi e sedentari.

I risultati sono stati confermati anche dopo aver aggiustato i dati per fattori che avrebbero potuto influenzare i risultati: età, sesso, fumo, indice di massa corporea, pressione sanguigna, farmaci e altre condizioni come il diabete, malattia coronarica e cancro.
Rispetto al gruppo sedentario, quello dei pazienti altamente attivi aveva un rischio inferiore del 38% di morte, un rischio inferiore del 17% di una progressione verso la malattia renale allo stadio terminale e un rischio inferiore del 37% di eventi cardiovascolari avversi principali.

Gli autori hanno inoltre osservato che la probabilità di eventi cardiovascolari non è diminuita ulteriormente una volta che l'attività ha superato il doppio del minimo consigliato dall’Organizzazione mondiale della sanità, ma ha evidenziato un possibile effetto negativo. "Quantità estreme di esercizio - si legge nello studio - possono indurre disturbi del ritmo cardiaco (aritmie) in coloro che hanno una malattia renale. Sembra quindi ragionevole evitare livelli molto alti per massimizzare i benefici e minimizzare i rischi".

Un altro importante dato emerso dello studio evidenzia l’importanza di svolgere attività fisica in modo costante e continuativo. Rivalutando la situazione a sei mesi dopo la prima misurazione, i ricercatori hanno osservato che i pazienti molto attivi che sono diventati più sedentari hanno aumentato di due volte il rischio di morte e di eventi cardiovascolari rispetto a quelli che sono rimasti molto attivi. Un’ulteriore prova, secondo il dottor Tseng dell'importanza “di mantenere l'attività fisica nei i pazienti con malattia renale" e di evitare la sedentarietà.

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