Gli organi di donatore, trattati con degli enzimi presenti nell’intestino, possono diventare idonei al trapianto anche se inizialmente non corrisponde il gruppo sanguigno (tecnicamente abbinamento ABO). È la sfida vinta di un gruppo di ricercatori canadesi che, allargando i candidati al trapianto d’organo, potrebbe ridurre le liste d’attesa. In uno studio recente un polmone è stato trattato con particolari enzimi presenti nell’intestino che sono in grado di tagliare gli zuccheri dagli antigeni A e B sui globuli rossi, convertendoli in cellule universali di tipo 0. Il lavoro, pubblicato su Science Translational Medicine e portato avanti nei laboratori di ricerca di chirurgia toracica Latner Thoracic Surgery Research Laboratories e dell’Ajmera Transplant Center dell’University Health Network, ha dimostrato quindi la possibilità di trasformare, in sicurezza, il gruppo sanguigno negli organi destinati al trapianto e renderli potenzialmente compatibili con pazienti che appartengono a un altro gruppo sanguigno. Certo, lo studio ha riguardato un polmone e si è fermato alla fase preclinica, ma potrebbe rivoluzionare e velocizzare la procedura di trapianto degli organi. “Con l’attuale sistema di compatibilità, i tempi di attesa possono essere considerevolmente più lunghi per i pazienti che necessitano di un trapianto, a seconda del loro gruppo sanguigno”, spiega il Marcelo Cypel, direttore chirurgico dell’Ajmera Transplant Center e autore senior dello studio.
La ricerca è iniziata nel 2018, quando Stephen Withers, biochimico della British Columbia (Canada) esperto di reazioni enzimatiche - cioè dei meccanismi con cui alcune proteine umane (enzimi), trasformano una sostanza in un’altra - ha individuato, insieme al suo team, un gruppo di enzimi intestinali in grado di eliminare gli zuccheri che determinano il gruppo sanguigno nei globuli rossi. A partire da questa informazione, Cypel e parte dei Latner Thoracic Surgery Research Laboratories hanno messo a punto lo studio, testando il sistema per il polmone e usando, come piattaforma per il trattamento, il sistema di perfusione polmonare Ex Vivo (EVLP). Il sistema EVLP è stato messo a punto per garantire la perfusione adeguata agli organi espiantati perché possano essere riparati e migliorati prima del trapianto.
I ricercatori hanno impiegato polmoni di donatori umani non idonei al trapianto, provenienti da donatori di tipo A e sostenuti nel dispositivo EVLP. Un polmone è stato trattato con gli enzimi intestinali per eliminare gli antigeni dalla superficie dell’organo, mentre l’altro polmone, dello stesso donatore, è rimasto non trattato. Nel circuito di ciascuno dei polmoni è stato aggiunto sangue tipo 0 con alte concentrazioni di anticorpi anti-A, per simulare un trapianto incompatibile con AB0. I risultati hanno dimostrato che i polmoni trattati erano ben tollerati mentre quelli non trattati mostravano segni di rigetto.
I risultati, incoraggianti, aprono prospettive per gli altri organi e anche per i pazienti, soprattutto “quelli di tipo 0 che aspettano in media il doppio del tempo per ricevere un trapianto di polmone rispetto ai pazienti di tipo A”, dice Aizhou Wang, del team dei ricercatori canadesi. Questo comporta un aumento di mortalità. “I pazienti che sono di tipo 0 e necessitano di un trapianto di polmone – aggiunge Wang - hanno un rischio maggiore del 20% di morire in attesa che un organo compatibile diventi disponibile”. I ricercatori puntano adesso a una sperimentazione clinica entro i prossimi 12-18 mesi.
I dati del Centro nazionale trapianti mostrano che, solo in Italia, ci sono 8.291 i pazienti nelle liste d’attesa. Il 72,5% (6.132) aspetta un rene, il 12,7% (1.076) un fegato, il 7,9% (670) un nuovo cuore. Inferiori i numeri di chi ha bisogno di un trapianto di polmone (3,8%, 320 pazienti) e pancreas (3%, 252 pazienti).
06/04/2022
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