"Negli ultimi 40 anni, gli uomini occidentali hanno visto calare del 52,4% la concentrazione degli spermatozoi. Gli studi realizzati documentano che, dal 1970 al 2018, in Occidente si è passati dai 101 milioni di spermatozoi ogni ml di liquido seminale nel 1970 ai 49 milioni per ml nel 2018". Una tendenza "ancora più preoccupante per il rapido declino fra il 2000 e il 2018, attestato da una metanalisi pubblicata a novembre scorso su 'Human Reproduction Update'. Se infatti dal 1973 al 2000 il calo di concentrazione spermatica è stato dell'1,6% ogni anno, dal 2000 al 2018 la riduzione ha segnato più del doppio, pari al 2,64% per anno". E se il trend continuerà "e non verrà arrestato, entro il 2070 si perderà oltre il 40% della fertilità maschile con serissimi pericoli per la procreazione nei Paesi occidentali". A lanciare l'allarme sono gli esperti della Società italiana di andrologia (Sia).
Il quadro viene tracciato dal presidente Alessandro Palmieri, professore associato di urologia all'università Federico II di Napoli, che mette in guardia da quello che ci aspetta "se non cambieremo l'ambiente che ci circonda, le sostanze chimiche a cui siamo esposti e il nostro stile di vita". Gli esperti sono preoccupati: “il rischio che la perdita di fertilità maschile diventi un problema irreversibile per la specie umana è reale”, avverte la Sia.
Nel 2070 potrebbe subire un tracollo la possibilità per gli uomini di generare figli, se non verranno cambiati stili di vita, condizioni ambientali, comportamenti come l’astinenza sessuale, sempre più diffusa tra i giovani - la stima segnalata indica che oltre 1,6 milioni di 18-40enni non hanno mai fatto sesso - e se non si ferma l'aumento dell'età di concepimento. Su quest'ultimo punto all'Italia spetta il primato del Paese europeo dove il primo figlio si fa più tardi: in media 35 anni per le donne e 40 per gli uomini. Il problema però, avvertono gli esperti, ora riguarda in misura crescente anche il Sud del mondo. Il calo degli spermatozoi è documentato anche nelle popolazioni asiatiche, africane e sudamericane ed è stato rilevato, in particolare, in un lavoro appena pubblicato su 'Scientific Report', che dimostra un calo dell’89% dal 2010 al 2019 della motilità spermatica in Sudafrica e in Nigeria e un peggioramento dei parametri dello sperma con l'avanzare dell'età.
Ma tornando dentro i confini nazionali, emblematico è il caso dell'Italia dove nel 2022 sono nati poco più di 392.000 bambini, riflettono gli esperti. "Se si fanno meno figli la colpa è senz’altro del disagio economico e sociale, che porta a procrastinare la costituzione di una famiglia - ragiona Palmieri - ma sul banco degli imputati c'è soprattutto la fertilità maschile, tutt'altro che cresciuta con il benessere. L'obesità, la sedentarietà, l'abitudine al fumo e la diffusione delle malattie sessualmente trasmesse sono infatti tra le principali cause indiziate di aver determinato il calo degli spermatozoi, a cui vanno aggiunti i cambiamenti climatici e l’inquinamento ambientale".
In particolare, l'obesità, avverte il presidente della Sia, "triplica la probabilità di bassa concentrazione di spermatozoi rispetto agli uomini con peso nella norma. Negli uomini obesi il rischio di infertilità aumenta di circa il 10% per ogni 9 kg di sovrappeso corporeo". Persino il 'climate change' pesa. "Anche il riscaldamento globale rallenta la spermatogenesi, già con una variazione di soli 0,1 gradi centigradi - illustra Palmieri - Se la temperatura globale si innalzerà di 2,8 gradi entro la fine del secolo, lo stress termico duraturo e progressivo avrà un effetto negativo ulteriore sulla qualità seminale che già subisce significative variazioni nella stagione più calda".
"La qualità del seme maschile deve essere considerata una 'sentinella' dell'ambiente, visto che nelle aree più colpite dall’inquinamento si nota un calo più grave della concentrazione spermatica - interviene Luigi Montano, uroandrologo Sia e past president della Società italiana riproduzione umana (Siru) - Lo accerta pure il recente rapporto dell’Oms sulla infertilità di coppia, pubblicato ad aprile 2023, in cui si parla di una media globale del 17,5% e in Cina di un dato superiore al 23%. Ciò è stato correlato agli alti tassi di inquinamento che si rilevano in quel Paese, sceso al secondo posto, in base alle recenti proiezioni demografiche, nella classifica degli Stati più popolosi del pianeta dopo l’India". Le autorità sanitarie e politiche, concludono Palmieri e Montano, "devono quindi valutare il problema della denatalità, non solo considerando le cause socio-economiche, ma anche le responsabilità biologiche, intervenendo in maniera seria e massiva sull’inquinamento atmosferico e sulle abitudini di vita scorrette. L'uomo è in crisi e il suo 'default' potrebbe determinare pure quello dell’umanità".
05/05/2023
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