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È dedicata alle novità nella cura delle neoplasie mileloproliferative croniche (MPN) la sedicesima edizione della “Giornata nazionale per la lotta contro leucemie, linfomi e mieloma” promossa da AIL per il 21 giugno. Le MPN sono patologie rare, colpiscono soprattutto gli anziani e si sviluppano in modo lento e progressivo. Nella maggior parte delle volte la diagnosi avviene per caso e per questo i trattamenti iniziano anche a distanza di anni dall’esordio, con un impatto pesante sulla qualità di vita di pazienti e familiari.

“Le neoplasie mieloproliferative, i tumori rari che colpiscono il midollo osseo quali leucemia mieloide cronica, policitemia vera, trombocitemia essenziale e mielofibrosi sono malattie croniche indolenti. – spiega Sergio Amadori, presidente nazionale AIL -. Oggi, la conoscenza delle basi genetiche delle MPN ha reso possibile lo sviluppo di molecole in grado di inibire in modo mirato l’azione dei geni responsabili della malattia, aprendo la strada a un nuovo approccio di trattamento fondato sulla diagnostica molecolare. Questi pazienti hanno delle possibilità in più di controllare la malattia anche a lungo termine”.

Nell’ultimo anno e mezzo la pandemia da Sars-Cov-19 ha reso più complicato il supporto ai pazienti che, in caso d’infezione, hanno un rischio più elevato di mortalità da Covid-19 (+5-6%) rispetto alla popolazione sana. La pandemia ha anche compromesso l’accesso alle visite esami e cure di molte patologie, ma “l’ematologia italiana, a differenza di altre specializzazioni – osserva Amadori - non ne ha risentito troppo: i trattamenti sono proseguiti come anche le cure ad alta complessità come le Car-T, i trapianti”.

La rivoluzione nella cura è con i farmaci mirati

Sono circa 2.000 gli italiani con una diagnosi di mielofibrosi che non dà sintomi specifici: stanchezza ingiustificata, perdita di peso senza un motivo chiaro e sintomi addominali dovuti all'aumento del volume della milza (splenomegalia). Grazie alla ricerca, è stato possibile fare progressi notevoli nel migliorare la diagnosi e la cura. Il riferimento è alla scoperta delle mutazioni di geni e lo sviluppo di modelli di rischio che permettono di identificare i casi più gravi che richiedono il trapianto di cellule staminali. I grandi progressi in ematologia, negli ultimi 20 anni, sono stati raggiunti grazie alla messa a punto dei farmaci mirati sulle mutazioni genetiche proprie della cellula che causa la malattia, cambiando il decorso della malattia.“Alcune cellule del sangue, nell’attività di moltiplicazione, fanno un errore che non viene riconosciuto in tempo ed eliminato – chiarisce Marco Vignetti, Presidente Fondazione GIMEMA Franco Mandelli e Vice Presidente Nazionale AIL. -. La ricerca ha individuato la mutazione e iniziato a creare dei farmaci che colpissero solo la mutazione, risparmiando le altre cellule. Questo ha portato a grandi risultati, uno per tutti è la terapia per la leucemia mieloide cronica (LMC). Oggi la LMC è considerata curabile, con una buona qualità di vita e con una durata paragonabile a quella di una persona sana. E, seppur con minori risultati – continua – anche nella trombocitemia essenziale e nella policitemia vera sono stati messi a punto farmaci “target”, che vengono utilizzati a esempio per ridurre le dimensioni della milza. Non sono risolutivi, ma possono essere di grande aiuto nel caso si renda necessario il trapianto allogenico, in quanto il paziente è in condizioni nettamente migliori per poterlo affrontare”.

Policitemia vera e trombocitemia essenziale sono malattie tumorali delle cellule staminali che vengono colpite da una mutazione genetica che genera un eccesso di proliferazione cellulare: livelli molto alti globuli rossi, globuli bianchi e piastrine. Solo in circa il 20% dei casi si verificano problemi di trombosi sia arteriose che venose, soprattutto nella policitemia vera, ictus, infarto del miocardio, trombosi nelle arterie periferiche. La terapia della trombocitemia essenziale e della policitemia vera deve tener conto dei fattori di rischio vascolari che ciascun paziente può documentare. La definizione di rischio si basa su “score” sia per la trombocitemia essenziale che per la policitemia vera a cui contribuisce in maniera importante la genetica di queste malattie (mutazioni di JAK2, CALR e MPL). La ricerca in queste malattie è molto attiva anche per merito di numerosi gruppi italiani.

Per il paziente con MPN: telemedicina e progetti come MIELO-spieghi

La pandemia ha fatto esplodere l’utilizzo della tecnologia: e-mail, WhatsApp, video chiamate. “Durante la prima fase della pandemia sono stati raccolti dati per valutare il management dei pazienti con MPN – osserva Massimo Breccia, Dirigente medico Responsabile UOS Ematologia Policlinico Umberto I Università Sapienza di Roma-. L’analisi molecolare per la ricerca delle mutazioni driver è avvenuta in più del 90% dei pazienti e solo il 14% dei clinici ha posticipato l’esecuzione dell’analisi del midollo. Per la policitemia vera, più del 30% dei clinici italiani ha eseguito flebotomie solo se l’ematocrito era superiore a 48% invece che a 45%, come raccomandato. La gran parte dei clinici ha posticipato le visite ai pazienti affetti da trombocitemia e policitemia, ma non ai malati di mielofibrosi”.
A sostegno di pazienti e i caregiver, in cui la diagnosi di MPN, per una serie di fattori, può causare disorientamento e preoccupazione, esistono iniziative come MIELO-Spieghi, una campagna di informazione e sensibilizzazione sulle neoplasie mieloproliferative croniche (MPN), promossa da Novartis, in collaborazione con AIPAMM (Associazione Italiana Pazienti con Malattie Mieloproliferative) e con il Patrocinio di AIL (Associazione Italiana contro Leucemie, Linfomi e Mieloma) e del MPN Advocates Network.

Speranza anche per un 20% di pazienti con LMC resistente

La leucemia mieloide cronica (LMC) è indubbiamente un tipo neoplasia in cui la moderna onco-ematologia ha ottenuto i migliori risultati terapeutici e di qualità della vita, e questo è avvenuto grazie alla scoperta degli inibitori tirosin-chinasi (TKI). “Per la leucemia mieloide cronica negli anni 2009-2010 fu possibile dimostrare che i pazienti che avevano una miglior risposta, livelli minimi di malattia residua e se questa fosse perdurata alcuni anni, sarebbe stato possibile interrompere l’assunzione del farmaco senza che ricomparisse la malattia – informa Fabrizio Pane, Professore Ordinario di Ematologia e Direttore U.O. di Ematologia e Trapianti A.O.U. Federico II di Napoli-. Facendo diventare la guarigione operativa (Operational cure) l’obiettivo del trattamento per un elevato numero di pazienti”.

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