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“La terapia ormonale nei pazienti con tumore della prostata viene di solito prescritta per lunghi periodi e, come tutte le terapie antitumorali, può dare effetti collaterali. Nel caso specifico, stanchezza, aumento di peso, vampate di calore, sudorazioni, osteoporosi, riduzione della libido e disfunzione erettile. Sono tante le strategie che si possono mettere in atto per tenere sotto controllo o ridurre queste reazioni avverse”. Lo afferma Massimo Di Maio, Direttore SC Oncologia medica 1U, AOU Città della Salute e della Scienza di Torino, professore ordinario di Oncologia medica, dipartimento di Oncologia dell’Università degli Studi di Torino e Segretario Nazionale Aiom (Associazione italiana oncologia medica). 

La prima cosa da fare nel percorso di cura del cancro alla prostata è “non sottovalutare la tossicità della terapia ormonale e i disturbi riferiti dal paziente - sottolinea Di Maio - Questo, a volte, può accadere in quanto l’oncologo tende a considerare ‘leggera’ la terapia ormonale rispetto ad altri trattamenti medici e i disagi ad essa associati molto meno rischiosi e meno pesanti rispetto ad effetti collaterali di altre terapie”. Il secondo passo importante è che il paziente sia informato, al momento della prescrizione, su quelli che potrebbero essere gli effetti collaterali, spiegando come affrontarli e gestirli per ridurne l’impatto sulla qualità della vita. Questo passaggio evita che il paziente possa sentirsi “sconfortato quando gli effetti collaterali si presenteranno e poco motivato a proseguire il trattamento”. Inoltre, “molti effetti collaterali all’inizio si manifestano in modo lieve e possono essere agevolmente gestiti con opportune terapie e interventi di vario tipo, prima che possano compromettere la qualità di vita e l’aderenza al trattamento. Un effetto collaterale che ricorre spesso - continua l’oncologo - è la fatigue, una sorta di stanchezza cronica, piuttosto invalidante, legata sovente al meccanismo d’azione dei farmaci ormonali, che può compromettere il benessere quotidiano e l’attività funzionale. In questi casi, si interviene con misure adeguate non necessariamente farmacologiche – come l’esercizio fisico moderato, regolare e proporzionato alle condizioni fisiche del paziente e alla sua malattia – e sono utili anche cambiamenti dello stile di vita. L’attività fisica, tra l’altro, comporta benefici per la salute dell’osso, che spesso subisce un impatto negativo a causa della terapia ormonale con conseguente osteoporosi e rischio di fratture, un tema questo che non va sottovalutato”. 

Purtroppo, “le conseguenze della terapia ormonale si riflettono anche sulla vita sessuale - evidenzia l’oncologo - ma vengono a volte trascurate dagli oncologi, che non le ritengono un problema clinicamente rilevante, anche perché lo stesso paziente tende a non parlarne per diversi motivi. Il problema invece va affrontato con le parole giuste e chiedendo il supporto di altre figure specialistiche come l’endocrinologo, l’urologo, lo psiconcologo, l’andrologo, trovando insieme gli strumenti migliori per gestirlo”. 

Il ruolo del paziente

Il paziente ha il diritto di chiedere tutto ciò che vuole al suo medico curante. “La prima domanda che un paziente dovrebbe rivolgere all’oncologo - ricorda Di Maio - riguarda l’obiettivo e le finalità del trattamento: questo per avere chiaro lo scopo delle medicine che dovrà assumere, la modalità corretta dell’assunzione del farmaco, i possibili rischi di interazione con altri farmaci o altre sostanze non farmacologiche, come gli integratori, che il paziente sta assumendo. È importante non avere mai paura di chiedere come gestire gli effetti collaterali una volta iniziato il trattamento. Un’altra domanda che il paziente dovrebbe rivolgere all’oncologo riguarda le conseguenze che potrebbe avere sulla sua vita la terapia che dovrà seguire per molti anni e la possibilità di interrompere il farmaco, aspetto questo non trascurabile. Altre domande dovrebbero riguardare l’alimentazione ed eventuali alimenti che possono avere interazioni con le terapie. La fiducia reciproca medico/paziente si basa in sintesi su due parole chiave: comunicazione e contatto diretto”. 

L’approccio multidisciplinare è fondamentale anche per la gestione delle terapie. “Mentre le Breast Unit sono ormai una realtà consolidata - afferma Di Maio - altrettanto non si può dire delle Prostate Cancer Unit, per le quali c’è ancora molta strada da fare. Il modello di rete non è ancora diffuso come dovrebbe, per diversi motivi, che vanno dal tipo di organizzazione richiesta, dal volume dei casi trattati alle infrastrutture e al personale dedicato. Ovviamente, non è pensabile che tutti gli ospedali vengano dotati di un team multidisciplinare per trattare i pazienti con tumore della prostata”, ma a questo si potrebbe sopperire con “la realizzazione delle reti tra centri di riferimento di grandi ospedali e ospedali minori in tutte le Regioni italiane”. In questo, “le tecnologie aiutano lo scambio di informazioni e il contatto diretto, l’incontro, in presenza o meno, tra le diverse figure specialistiche. La gestione all’interno della Prostate Unit - conclude l’oncologo - comporta indubbi vantaggi per il paziente che vedrebbe garantito il trattamento appropriato, in base alla sua malattia, e vantaggi anche per il sistema salute in termini di risultati in senso assoluto riguardo l’efficacia e la qualità di vita, oltre alla razionalizzazione delle risorse”.

13/12/2023

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