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Il test per la diagnosi di Covid è negativo da più di 12 settimane, ma alcuni sintomi della fase acuta della malattia persistono. È quello che sperimentano milioni di persone e che viene classificato come Long Covid noto anche come “sindrome post Covid”, come definito dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms).

Non è facile la diagnosi di questa condizione, molto debilitante, sostenuta da almeno 200 diverse manifestazioni, in base a quanto riferiscono alcuni studi che hanno stilato la lista dei sintomi, analizzando le cartelle cliniche dei medici di famiglia, archiviate nei database sanitari inglesi e relativi ai pazienti che si sono negativizzati dopo infezione da Sars-Cov2.

Secondo alcune statistiche, la sindrome Long Covid interessa dal 30 al 50%, fino all’80% di chi ha avuto il Covid-19. I sintomi segnalati vanno dalla stanchezza cronica alla nebbia cerebrale (i più comuni), ai danni cardio-polmonari e gastroenterici, ma si riferiscono anche disfunzioni sessuali, disturbi su reni, fegato, pelle e capelli. Un vero rompicapo. I sintomi, infatti, non sono sempre correlati al grado di severità della malattia da Covid durante la fase acuta, e non è chiaro nemmeno il meccanismo con il quale si sviluppano.

Attualmente, in base alle manifestazioni cliniche, sono stati individuati tre gruppi principali di long Covid:

  • persone con un ampio spettro di sintomi, tra cui dolore, affaticamento ed eruzione cutanea (80%);
  • persone principalmente affette da problemi di salute mentale e cognitivi, tra cui ansia, depressione, insonnia e nebbia cerebrale (14,2%);
  • persone con sintomi principalmente respiratori come tosse, mancanza di respiro e catarro (5,8%).

In base ai dati al momento disponibili, sarebbero più a rischio di post-Covid i soggetti con un’età più avanzata, di sesso femminile, obeso o sovrappeso, che ha avuto un ricovero ospedaliero (specie se in terapia intensiva) dovuto a un’infezione da Sars-CoV-2 grave, soffre di altre malattie croniche come diabete, ipertensione arteriosa, asma.

Difficile individuare l’origine

L'incertezza sulla causa principale della sindrome da post-Covid è un ostacolo fondamentale allo studio e allo sviluppo di trattamenti per il Long Covid, oltre che alla diagnosi. Sono in corso almeno 26 studi clinici randomizzati sulle terapie per Long Covid, molti sono troppo piccoli o mancano dei gruppi di controllo necessari per fornire risultati chiari, perché è difficile arruolare i partecipanti o a suddividerli in sottogruppi in base a sintomi simili.

Le ipotesi

Nell’intento di capire l’origine della sindrome per poter mettere a punto una terapia adeguata, è sempre più evidente che i problemi al sistema immunitario siano dovuti al persistere di frammenti di Sars-CoV2 che continuano a stimolare il sistema di difesa dell’organismo, sostenendo indirettamente anche uno stato di infiammazione cronica. Ci sono anche indicazioni che l'infezione comporti la formazione di anticorpi diretti a colpire, erroneamente, le proteine dell'organismo. Il Covid-19 potrebbe anche causare microscopici coaguli di sangue in grado di bloccare il flusso di ossigeno ai tessuti. Secondo alcuni studi non si esclude che un'infezione da Sars-CoV2 possa alterare gravemente il microbioma intestinale. Ogni ipotesi suggerisce una possibile soluzione.

Le possibili cure

Secondo alcuni ricercatori, i farmaci antivirali potrebbero essere utili per eliminare i frammenti persistenti di Sars-CoV2. I farmaci immunodepressori, d’altro canto, potrebbero bloccare la risposta immunitaria fuorviata. Mix opportuni di anticoagulanti, infine, potrebbero dissolvere i microcoaguli.

Tra le sperimentazioni che cercano di controllare le risposte immunitarie errate, alcune impiegano farmaci già noti, come la colchicina, un antinfiammatorio già impiegato per la gotta. Altri studi verificano l’impiego di farmaci impiegati nella forma acuta grave di Covid-19, tra cui gli steroidi e altri immunosoppressori. Non mancano le ricerche innovative che puntano a rimuovere l’mRna virale che circola nel sangue, da molti ritenuto il principale elemento scatenante dell'infiammazione.

Altre ricerche testano la gestione dei sintomi, come l'estrema stanchezza, la debolezza muscolare e le difficoltà di memoria e concentrazione. Per i problemi cardiovascolari, ci sono gruppi di ricerca attivi per mettere a punto un mix con anticoagulanti per bloccare l’infiammazione del rivestimento dei vasi sanguigni che potrebbe innescare la formazione di microcoaguli che poi intasano i capillari polmonari.

07/11/2022

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