Durante la prima ondata pandemica, l’attenzione sugli effetti del virus SARS-CoV-2 si è concentrata sulle problematiche di tipo respiratorio, particolarmente evidenti e gravi, tanto da richiedere spesso il ricorso a supporto ventilatorio invasivo. Con il passare del tempo, però, è emerso un quadro più complesso, che comprende complicanze relative a diversi organi e conseguenze anche a lungo termine. Tra le complicanze individuate non mancano quelle a carico del fegato.
Il virus attacca tutto il corpo
Dopo aver osservato tanti casi, è diventato chiaro che il virus non si ferma all’apparato respiratorio, ma può colpire aree diverse, provocando vari sintomi ed effetti che perdurano nel tempo. Può essere coinvolto il cervello, provocando mal di testa, encefaliti, ictus e la perdita, di solito temporanea, di gusto e olfatto. Un fenomeno che può perdurare anche per mesi dopo la guarigione è stato battezzato con l’espressione “nebbia cognitiva” e comprende perdita di memoria, confusione e difficoltà a concentrarsi.
Anche il cuore rientra nei possibili bersagli del Covid-19, che può determinare la comparsa di miocarditi, aritmie e, a lungo termine, palpitazioni, dolori al petto e fiato corto. Effetti frequenti riguardano anche l’apparato gastroenterico, che includono diarrea, nausea, perdita di appetito arrivando anche al blocco intestinale.
Come il Covid-19 danneggia il fegato
Studi specifici si sono concentrati nell’analizzare i danni che il virus SARS-CoV-2 provoca sul fegato, a seguito di un'alterazione della vascolarizzazione dovuta a un’eccessiva produzione dell'interleuchina IL-6, una citochina che regola la risposta immunitaria dell'organismo. Il fenomeno della cosiddetta “tempesta di citochine” innescata dal Covid-19 determina, infatti, uno stato infiammatorio e una coagulazione del sangue all'interno dei vasi epatici.
Uno studio pubblicato sulla rivista Journal of Hepatology ha permesso di comprendere il meccanismo patologico attraverso cui il virus danneggia il fegato nei malati di Covid-19, ovvero l’endoteliopatia, cioè l’infiammazione delle pareti dell’endotelio che riveste i vasi sanguigni. Questo processo è il responsabile del danno epatico collegato a forme gravi e letali di Covid-19.
In pazienti affetti da Covid si è riscontrato di frequente un aumento dei livelli degli enzimi epatici dopo il ricovero in ospedale. Persone che già nella fase iniziale dell’infezione presentano test epatici anormali hanno infatti rischi più elevati di progressione verso malattia grave.
Pazienti più a rischio di danni epatici gravi
Il danno epatico risulta maggiore, in generale, in pazienti che hanno contratto forme severe di Covid-19, più comune tra gli over 65 e in persone che soffrono di insufficienza respiratoria, cardiopatie, diabete, obesità, ipertensione, insufficienza renale e immunodepressione. Inoltre, la pandemia ha provocato un aumento del consumo di alcol, l’adozione di stili di vita poco salutari e l’interruzione di percorsi di diagnosi e cura per molte malattie, tra cui quelle epatiche, elevandone quindi incidenza e gravità.
La presenza di malattie epatiche, e quindi di una attività funzionale dell'organo già in parte compromessa, rappresenta un fattore di rischio elevato. Persone affette da cirrosi, in dialisi e in attesa di trapianto sono considerate particolarmente a rischio di contrarre il Covid-19 in maniera grave. Per pazienti Covid con danno epatico acuto risulta più elevato il rischio di ricovero in terapia intensiva, di intubazione, di ricorso a terapia renale sostitutiva e di mortalità.
Nei pazienti guariti dal Covid possono permanere problematiche epatiche, anche a causa di eventuali riacutizzazioni di epatopatie croniche di diversa natura, quindi derivate da alcol, virus o sindrome metabolica, a loro volta già collegate a problematiche immunitarie e infiammatorie. In diversi casi, si assiste a un’alterazione degli indici dei livelli di citolisi epatica, una diminuzione dell’albuminemia e un aumento di bilirubina, tutti indicatori di una riduzione della funzionalità epatica, da tenere quindi sotto controllo in fase post-Covid.
Vaccinazione per pazienti con patologie epatiche
Le società scientifiche, quindi, considerato l’alto rischio che corrono i pazienti con pregresse patologie croniche epatiche, raccomandano per queste categorie di persone l'accesso prioritario alla vaccinazione anti-Covid 19.
Soprattutto per quanto riguarda pazienti in attesa di trapianto o trapiantati, il pericolo di incorrere in gravi conseguenze da infezione da SARS-CoV-2 è particolarmente elevato. Per i pazienti già trapiantati, viene indicata come tempistica ottimale per la vaccinazione di far trascorrere dai 3 ai 6 mesi dal trapianto.
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