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Intervenire sul percorso terapeutico inciderebbe positivamente anche sulla qualità di vita dei pazienti affetti da trombocitopenia immune primaria (ITP), una rara forma di malattia autoimmune della coagulazione del sangue, caratterizzata da carenza di piastrine (trombociti). La patologia è poco conosciuta, ma ha un impatto negativo sulla qualità della vita delle persone che ne soffrono perché possono manifestarsi lividi ed emorragie. Molte informazioni utili, a tale proposito si possono trovare nel sito MyITPLife

Le attuali Linee guida per il trattamento della ITP stabiliscono un preciso percorso terapeutico e raccomandazioni - come il non protrarre la terapia con corticosteroidi oltre i 3 mesi - per favorire un miglioramento nella qualità di vita dei pazienti e, allo stesso tempo, contribuire a fare buon uso delle risorse sanitarie, evitando sprechi e disservizi. La realtà però mette in luce una situazione molto diversa

Cortisonici usati per oltre il doppio di quanto indicato per ITP

Da uno studio di Real World evidence diffuso recentemente emerge che la durata media della terapia con corticosteroide è pari a 6,8 mesi, più del doppio rispetto a quanto indicato dalle linee guida. Tale pratica ha risvolti non solo sul piano clinico: la ricerca internazionale iWISh evidenzia, infatti, che l’utilizzo prolungato di corticosteroidi influisce negativamente sulla qualità di vita dei pazienti.

Lo studio “Analisi dell’epidemiologia e della farmaco-utilizzazione dei pazienti affetti da trombocitopenia immune primaria in contesti italiani”, di giugno 2021, condotto da CliCon, è stato presentato nel corso dell’evento “Trombocitopenia Immune Primaria: cambiare l'approccio per cambiare la vita”, promosso da Inrete con il contributo non condizionante di Novartis. La tavola rotonda ha offerto anche l’occasione di illustrare i risultati dello studio internazionale “iWISh” che fotografa l’impatto negativo sulla qualità di vita dei pazienti legato anche alla terapia prolungata con corticosteroidi.

"Sulla base dell'analisi condotta nel contesto italiano, - spiega Luca Degli Esposti, Presidente CliCon Health, Economics and Outcomes Research - la prevalenza della trombocitopenia immune primaria è risultata pari a 262 casi/milione di assistibili. Circa i due terzi dei pazienti sono risultati in trattamento con farmaci corticosteroidi e, tra questi, la maggior parte presentava un'esposizione superiore ai tre mesi di terapia”.

L’analisi osservazionale si basa su un campione nazionale di circa 9 milioni di pazienti, di cui 2.869 affetti da ITP. Di questi ultimi, il 65,6% – in trattamento con corticosteroidi – ha un’età media pari a 49,9 anni. I pazienti trattati con corticosteroidi con durata di almeno un ciclo superiore a 3 mesi sono il 46,1%, mentre circa il 67,7% dei cicli osservati ha mostrato un’esposizione molto superiore a questa soglia. Come evidenziato dallo studio, infatti, la durata media dei cicli di terapia con corticosteroide è pari a 6,8 mesi nei pazienti trattati. La quota di cicli di trattamento con corticosteroidi oltre l’anno, infine, raggiunge il 25,5%.

Importanza degli steroidi per breve periodo

“C’è un consenso generale a limitare l’impiego degli steroidi in prima linea a un periodo non superiore a due-sei settimane, considerando altre linee di terapia in caso di mancata risposta o in caso di persistenza di piastrinopenia dopo sospensione del cortisone”, evidenzia Valerio de Stefano, Direttore UOC, Servizio e Day Hospital Ematologia, Dipartimento per immagini radioterapia oncologica ed ematologica Policlinico Gemelli.

Proseguire il trattamento cortisonico a lungo termine “comporta un rischio sensibile di ipertensione, diabete, iperlipidemia, gastropatia, osteoporosi, cataratta, e maggiore facilità ad infezioni – continua De Stefano -. Esistono poi anche altri effetti di notevole impatto sulla qualità di vita: alterazioni del tono dell’umore, nervosismo, insonnia, incremento ponderale con caratteristiche tipiche quali la faccia “a luna piena”, acne, cefalea, sudorazione aumentata. L’uso degli steroidi a breve termine – aggiunge - non va comunque demonizzato, in quanto fondamentale nel primo approccio alla ITP, ma queste considerazioni vanno tenute molto ben presenti nella pratica clinica”.

Lo studio iWish. Cala la qualità della vita con uso prolungato di steroidi

L’indagine internazionale iWISh mostra che il 90% dei 1.507 intervistati, tutti pazienti con ITP, vorrebbe avere trattamenti alternativi ai cortisonici e basati, ad esempio, sull’assunzione di farmaci per via orale. Secondo il campione intervistato, una soluzione di questo tipo, infatti, inciderebbe positivamente anche sulla qualità di vita delle persone affette da ITP. Un aspetto questo molto importante ma purtroppo non abbastanza tenuto in considerazione.

La ricerca, in particolare, ha evidenziato un disallineamento tra il percepito dei pazienti e quello dei medici, soprattutto in merito a uno degli effetti più evidenti e pesanti della patologia: la fatigue, cioè un affaticamento e una spossatezza patologica. Il 50% dei pazienti considera questo sintomo uno degli elementi più gravosi della patologia, mentre il 73% ha riferito difficoltà di concentrazione a causa di questo sintomo.

Al contrario, dal punto di vista dei clinici, solo il 38% dei loro pazienti si sentiva affaticato e, di questi, hanno ritenuto che il 46% sperimentasse un alto livello di fatica.

“Nell’ITP cronica – commenta Barbara Lovrencic, Presidente AIPIT (Associazione Italiana Porpora Immune Trombocitopenica) - quello che maggiormente impatta la qualità di vita è l’instabilità del livello delle piastrine perché comporta la costante ansia di sé, a quando il livello di piastrine scenderà tanto da causare emorragie, la possibilità di dover ricorrere a ulteriori trattamenti o l’ospedalizzazione”. Per via della sua imprevedibilità e della stanchezza cronica, che rappresenta un sintomo fortemente impattante così come risulta anche dallo studio iWISh, “l’ITP – continua Lovrencic - comporta molte limitazioni come ad esempio nell’attività sportiva e nella possibilità di viaggiare (sia per turismo che per lavoro) ma anche nell’attività lavorativa e di studio. Con il Covid-19 tutti abbiamo provato sulla nostra pelle cosa significhi vivere con la costante paura per la propria salute e quanto sia frustrante non potersi organizzare e vivere liberamente a causa di qualcosa che è fuori dal nostro controllo”.

Un nuovo approccio terapeutico sarebbe auspicabile quindi per i pazienti con ITP per migliorare un aspetto spesso sottovalutato a livello clinico, ma importante, come la qualità della vita. Intanto un aiuto si può trovare anche in rete, nel sito dedicato MyITPLife.

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