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L’Organizzazione mondiale della sanità considera l’Epatite virale C (HCV) una minaccia sanitaria globale, per questo ne ha suggerito l'eliminazione entro il 2030. L’Italia potrebbe raggiungere questo traguardo – insieme a Francia, Germania, Inghilterra, Spagna, Australia, Georgia, Finlandia, Islanda e Nuova Zelanda, a differenza degli Stati Uniti che forse riusciranno nell’intento nel 2050.

“Per centrare l’obiettivo, un passo importante è lo screening nei soggetti che usano droghe per via iniettiva, nelle quali la prevalenza del virus Hcv è molto elevata. Tuttavia, nonostante lo Stato finanzi screening per tutti i soggetti che usano droghe per via endovenosa, in Italia si fanno ancora troppi pochi test di controllo".

Lo sostiene Massimo Puoti, professore di Malattie infettive dell'Università degli Studi di Milano-Bicocca e direttore della Struttura complessa Malattie infettive del Grande ospedale metropolitano Niguarda di Milano.

"Dall'ultimo rapporto annuale sulle tossicodipendenze in Italia - sottolinea - emerge che, su 123.871 utenti dei Serd (Servizio per le dipendenze patologiche), appena 26.576 sono stati sottoposti a screening per l'Epatite C, circa il 21% del totale. Quindi noi dobbiamo intervenire sul restante 79% che non ha ancora aderito al Programma nazionale di screening. Fatto lo screening, bisogna curare i soggetti che fanno uso di droghe per endovena e, curando queste persone, si previene anche la trasmissione. Finora negli ambulatori italiani abbiamo curato con gli antivirali più di 200mila pazienti, adesso l'obiettivo è trovare chi ha l'epatite C e non sa ancora di averla".

Si stima che i pazienti affetti da Epatite C siano 300mila, ma in molti ignorano di essere affetti dalla malattia. Per questo motivo è molto importante “il Programma nazionale di screening che dovrebbe far emergere il sommerso – ancora Puoti - . Ovviamente ci sono delle differenze da una regione all'altra: si passa dallo 0,1% di screening della Sardegna al 93% dell'Emilia Romagna, proprio per l'eterogeneità del sistema sanitario nazionale".

Un fenomeno "che sta emergendo negli Stati Uniti" e che "desta particolare preoccupazione - riporta l'infettivologo - è l'uso per via iniettiva di farmaci oppiacei prescritti per la terapia del dolore, che potenzialmente potrebbero interagire con le cure dell'epatite C. Anche in Italia, nonostante non ci sia questo allarme, il fenomeno è in crescita: solo l'1,5% degli utenti dei Serd riferisce di fare uso di queste sostanze; tuttavia, se andiamo a vedere l'analisi del Rapporto 2022 sulle acque reflue in 33 città, ben 26 presentano tracce di farmaci oppiacei assunti per uso terapeutico come antidolorifico, ma probabilmente anche per un uso non terapeutico".

11/07/2022

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