Covid: si riempiono i reparti. Manca un modello per garantire le cure a tutti i pazienti
Editoriale a cura di Tonino Aceti, Esperto di politiche sanitarie e tutela dei diritti dei pazienti, Presidente di Salutequità
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Editoriale a cura di Tonino Aceti, Esperto di politiche sanitarie e tutela dei diritti dei pazienti, Presidente di Salutequità
L’accesso ai servizi sanitari in modo equo e universale richiede scelte di politica sanitaria che vanno attuate e monitorate. Con l’obiettivo di aprire uno spazio alla lettura critica e ragionata dell’attualità in ambito di provvedimenti per la salute del cittadino, che tenga conto della salvaguardia della salute e dell’equità della loro erogazione, pubblichiamo il primo di una serie di approfondimenti realizzati da Tonino Aceti, presidente di Salutequità, in esclusiva per Alleati per la Salute, di cui è membro del Comitato di garanzia.
L’aumento dei contagi della variante Omicron rischia di oscurare nuovamente la possibilità di cura per i pazienti con altre patologie, proprio quando si stava attivando il recupero delle prestazioni saltate a causa delle ondate di Covid. In una circolare del 7 luglio, il ministero della Salute, in risposta all’impennata dei casi di positivi registrati nelle ultime settimane, invita “tempestivamente” le regioni ad ampliare i posti letto nei reparti e terapie intensive.
Come per le precedenti ondate, dopo due anni di pandemia, la strategia proposta dal ministero in presenza di picchi epidemici è dare priorità ai pazienti con Covid, non richiamando però allo stesso modo (nella circolare) l’attenzione delle Regioni a non sospendere/rinviare le cure per tutte le altre malattie. In questo modo il rischio è ripetere gli errori precedenti e cioè penalizzare la continuità assistenziale per tutti gli altri pazienti. La circolare arriva proprio mentre, a livello regionale, si stanno mettendo a terra i piani di recupero delle liste di attesa e l’uso del fondo di 500 milioni stanziato nell’ultima Legge di Bilancio per recuperare le cure mancate in oltre 2 anni di pandemia. Meno diagnosi, cure e interventi, a causa della mancanza di soluzioni organizzative alternative per poter garantire uguale accesso alle cure a tutti i ittadini, con Covid e no, anche durante i momenti di massimo contagio. Proprio una settimana fa la Regione Lazio ha presentato il suo piano per il recupero delle mancate prestazioni.
"Nonostante il periodo estivo in cui molte attività vengono svolte all'aperto – si legge nella circolare del ministero della Salute - si conferma sul territorio nazionale una fase epidemica caratterizzata da un forte aumento dell'incidenza, in constante crescita già da 4 settimane e che ha raggiunto i 586 casi/100.000 abitanti, da una trasmissibilità in aumento e al di sopra della soglia epidemica sia calcolata su casi sintomatici (Rt medio 1,30) che su casi ricoverati in ospedale (Rt 1,22), e da un aumento dei tassi di occupazione dei posti letto in area medica (9,2%, con incremento relativo del numero di ricoverati del 22%) e di terapia intensiva (2,5%, con incremento relativo del numero di ricoverati del 13,6%)". Da qui la richiesta di potenziare la risposta sia sul fronte degli ospedali.
Con l’applicazione della vecchia strategia di gestione dei picchi di contagio, Omicron rischia di far tornare – e peggiorare - il meccanismo dello “stop and go”, con finestre di solo alcuni mesi all’anno per l’assistenza e la presa in carico dei pazienti con malattie croniche, rare o tumori, che continuano ad aspettare diagnosi, trattamenti o interventi, specie se programmati. Dall’autunno scorso, si è zoppicato fino a marzo-aprile ma ora, rispetto agli anni precedenti, a giugno si fanno già i conti con un nuovo aumento di positivi. Avanti di questo passo, si rischia di ridurre l’assistenza sanitaria fino al prossimo autunno quando, a causa dell’atteso nuovo aumento dei casi, le liste d’attesa saranno destinate a crescere ulteriormente. In mancanza di un piano alternativo, ogni volta che c’è infatti un aumento dei contagi, si riduce l’attività ordinaria, si riduce di fatto l’accesso al servizio sanitario che diventa quindi pienamente fruibile, per la maggioranza dei cittadini, solo alcuni mesi dell’anno.
Il Covid, da due anni, non è mai scomparso. Ormai dovrebbe essere chiaro che questa convivenza con il virus ci accompagnerà ancora per diverso tempo. Proprio perché è presente anche quando non c’è il picco, bisogna pensare a delle alternative di gestione dell’assistenza ai pazienti, essere più veloci, a tutti i livelli per supportare, accompagnare e verificare le regioni nel recupero delle prestazioni non erogate. È necessario definire e lavorare a un modello organizzativo che ci metta al riparo dalle interruzioni nell’erogazione di visite ed esami, ormai insostenibili per il diritto alla salute di tutte le persone. Purtroppo, a oggi, non è chiaro quale sia il piano del Sistema sanitario nazionale (Ssn) per non interrompere le cure, nonostante il Sars-Cov2.
Nella circolare si ribadisce poi, nuovamente, l'importanza della vaccinazione e di avere uno scudo per proteggere la popolazione: "L'elevata copertura vaccinale, il completamento dei cicli di vaccinazione e il mantenimento di un'elevata risposta immunitaria attraverso la dose di richiamo, con particolare riguardo alle categorie indicate dalle disposizioni ministeriali, rappresentano strumenti necessari a mitigare l'impatto clinico dell'epidemia".
Pensare di aumentare i posti letto Covid e garantire il più alto livello di accesso al vaccino sono leve importanti, ma bisogna fare ancora di più. Dobbiamo disegnare subito il modello organizzativo del Ssn, a partire dalla rete ospedaliera ma non solo, che eviti per il presente e per i prossimi anni di bloccare o rimandare ancora viste, esami e interventi “procrastinabili” per i pazienti non Covid-19. È insostenibile chiudere ancora agli altri pazienti il Servizio sanitario, dopo oltre due anni di Covid: non solo perché viene negato un diritto alle cure ai pazienti con altre patologie, ma perché si crea un’ulteriore disparità tra quelli che possono accedere al privato, perché ne hanno le risorse economiche, e gli altri che, di fatto, non si curano. A tale proposito, dati Istat di qualche settimana fa, segnalano che nel 2021 il tasso di rinuncia alle cure è stata dell’11%: era intorno al 6% nel 2019, quindi è quasi raddoppiato. In aumento anche la spesa sanitaria delle famiglie: 118 euro al mese nel 2021, con un incremento del 9% rispetto al 2020.
A complicare la situazione c’è poi anche il problema del personale sanitario, per il quale si poteva e si doveva, fare di più. Tutte le misure prese finora hanno il tallone d’Achille delle risorse umane. I professionisti sanitari non mancano solo nelle corsie, ma rischiano di non esserci anche nelle stesse case di comunità, negli ospedali di comunità e a casa delle persone: previste come strutture e interventi con i fondi del Piano di ripresa e resilienza (Pnrr), dovrebbero essere sostenuti con medici, infermieri e specialisti per le cure del territorio.
Per andare oltre alla logica del riorientare le strutture ospedaliere verso il Covid, riducendo conseguentemente lo spazio agli altri pazienti, sarebbe necessario che il Ministero della Salute e le Regioni definiscano una nuova strategia. Mentre infatti si è intenti a gestire i rischi del contagio e a garantire l’assistenza ai pazienti Covid-19, si penalizzano però le altre patologie, mettendo in crisi il principio dell’equità di accesso alle cure che è uno dei principi fondanti del Ssn.
22/07/2022
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