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Frontiera decisiva anche in campo medico, l'intelligenza artificiale (Ia) è "una grande opportunità" che però "non sostituisce il medico internista nel porre diagnosi e consigliare la terapia più appropriata". È la riflessione di Giorgio Sesti, presidente della Società italiana di medicina interna (Simi), in occasione del 124esimo congresso della società. Il settore dell’intelligenza artificiale, si stima, passerà da un mercato di "15 miliardi di dollari di quest'anno ai 103 miliardi entro il 2028 e una sua vasta applicazione potrebbe portare a sostanziali progressi nella diagnostica predittiva, compresa la diagnosi precoce del cancro", dicono gli internisti che nel corso del congresso faranno il punto sullo stato dell'arte della Ia in medicina, anche con l'aiuto di un ingegnere informatico e due medici esperti.

La classe medica, "non è ancora pronta a recepire questa rivoluzione, in atto da appena 5-6 anni", spiega una nota. "E se molti medici di vecchia generazione sono affetti da algoritmo-fobia, il pericolo tra le nuove leve è quello di una 'distorsione da automazione', cioè di una fiducia eccessiva nell’Ia che li porti ad appiattirsi sul 'parere' della macchina, sacrificando il giudizio clinico. È necessario dunque formare una generazione di ‘medici cyborg’, cioè medici con competenze informatiche avanzate, per facilitare e avvicinare le nuove generazioni all’uso di certi strumenti".

"L’intelligenza artificiale - aggiunge Sesti - sta entrando prepotentemente nel campo della medicina grazie alle sue innumerevoli applicazioni e potenzialità. Ritengo molto prematuro pensare che l’intelligenza artificiale possa sostituire il medico internista nel porre diagnosi e consigliare la terapia più appropriata, ma potrà certamente contribuire a perfezionare gli strumenti a disposizione del medico per l’apprendimento, l’aggiornamento, la formazione sul campo tramite le simulazioni, la diagnostica avanzata. È certamente una grande opportunità anche per la ricerca perché le sue applicazioni possono accelerare la scoperta di nuove molecole farmacologiche e lo sviluppo di indagini sempre più sofisticate per la diagnosi precoce di patologie croniche".

"L'Ia di nuova generazione - spiega Federico Cabitza, professore associato di Informatica presso il Dipartimento di Informatica, sistemistica e comunicazione Università di Milano - è basata sui dati e sviluppata con tecniche di apprendimento automatico. E questa non è ancora diffusa negli ospedali italiani, anche se è già integrata in tanti dispositivi medici. I medici che hanno usato queste applicazioni nell’arco degli ultimi 5-6 anni, lo hanno fatto finora solo nell’ambito di studi prototipali, sperimentali, a scopo di ricerca". La maggior parte di queste applicazioni sperimentali "riguarda la radiologia (molto avanzate sono applicazioni per lo screening oncologico), ma ce ne sono anche in medicina interna, oftalmologia e in ambito gastroenterologico a supporto degli esami endoscopici. Insomma, tante applicazioni sperimentali, ma praticamente nulla o pochissimo nella pratica clinica".

"Le aree interessate dalla nuova generazione di Ia - rivela Cabitza - sono le diagnosi precoci in ambito di screening, la radiologia aumentata; altre applicazioni consentono di abbreviare la durata degli esami di imaging, risparmiando al paziente lunghe esposizioni a radiazioni ionizzanti nella Tac e riducendo ad un quarto il tempo di esecuzione di una Rmn". Altre applicazioni "riguardano lo sviluppo di nuovi farmaci; le Ia di nuova generazione sono molto efficaci nel sondare diverse configurazioni proteiche, trovando quelle più adatte a proporsi come principi attivi". Inoltre "molti studi randomizzati controllati vengono oggi fatti ricorrendo all’Ia; attualmente nel mondo ce ne sono circa 84 in corso; un terzo di questi è condotto negli Usa, gli altri in Cina e in Europa. In Italia ce ne sono 4 e tutti in ambito gastroenterologico”. I Paesi più avanzati nell’introduzione dell’Ia nella pratica clinica "sono gli Usa, dove c’è una fortissima spinta da parte delle compagnie di assicurazione a migliorare tutti i processi clinici".

Non mancano gli ostacoli per far crescere l’Ia di ultima generazione nella pratica clinica. Il primo da superare è la certificazione. "Nulla può essere utilizzato sui pazienti - ricorda Cabitza - che non sia stato prima certificato come dispositivo medico e dotato del marchio 'Ce' in Europa". C’è poi la questione medico-legale. "Si potrebbe verificare infatti - spiega Cabitza - un uso disfunzionale dell’Ia da parte del medico, che potrebbe utilizzarla per un uso opportunistico, di medicina difensiva. Insomma il non andare a priori contro l’Ia per paura di incappare in un contenzioso. Questo potrebbe portare i medici ad appiattirsi sulla raccomandazione dell’Ia, anche quando potrebbe essere errata. Quindi - conclude - è necessario trovare il giusto equilibrio tra un affidamento eccessivo e un pregiudizio contro la macchina, tra il medico che si fida troppo e quello che non si fida abbastanza".

18/10/2023

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