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L’attività fisica è amica del cuore solo se è fatta per piacere, non per dovere. Sono i risultati sorprendenti raccolti in uno studio di Andreas Holtermann e colleghi del Copenhagen University Hospital, pubblicato di recente sullo European Heart Journal.

"Gli autori - spiega Antonio Rebuzzi, docente di Cardiologia dell'università Cattolica Roma, Policlinico universitario Fondazione 'A. Gemelli' Irccs - hanno analizzato i dati raccolti da un registro nazionale (Copenhagen General Population Study) su oltre 104.000 soggetti seguiti per oltre 10 anni. I risultati emersi sono paradossali. Sembrerebbe, infatti, che gli effetti dell'attività fisica siano differenti se questa viene svolta durante il tempo libero o se è legata al lavoro. Nel primo caso, paragonati a persone che durante il tempo libero hanno una modesta attività fisica, quelli che hanno un'attività moderata, alta o molto alta hanno una riduzione del rischio di eventi cardiovascolari del 10,18 e 9% a distanza di 10 anni. E questo indipendentemente da altri fattori come lo stato socio-economico, gli stili di vita e le abitudini alimentari. Al contrario, quelli che svolgono un lavoro che richiede un'attività fisica moderata, alta o molto alta durante la vita lavorativa hanno, rispetto a chi svolge un'attività lavorativa non pesante, un rischio cardiovascolare incrementato del 4,15 e 35%".

"Come può essere spiegato questo paradosso? In realtà vi sono differenze tra le due attività - precisa Rebuzzi - Quella fatta durante il tempo libero è differente perché spesso è uno sforzo aerobico (nuoto, footing) durante il quale, se necessario, si ha la possibilità di recuperare. Lo sforzo lavorativo è molto spesso uno sforzo di resistenza (ad esempio sollevare pesi), fatto in maniera ripetitiva e soprattutto con scarso tempo di recupero".

"In particolare - prosegue il docente della Cattolica - dallo studio emergerebbe che svolgere un'attività fisica durante il tempo libero sarebbe maggiormente protettivo per il cuore nei soggetti che fanno un lavoro sedentario, mentre gli effetti sarebbero più limitati nei soggetti che hanno un lavoro che richiede un consumo energetico maggiore".

"L'importanza dell'attività fisica per la riduzione del rischio d'infarto - ricorda Rebuzzi - si deve all'intuizione del londinese Jerry Morris che, nel 1953, pubblicò sulla rivista 'The Lancet' uno studio su 31.000 lavoratori dell'azienda dei trasporti di Londra. Morris osservò che gli autisti, che facevano un lavoro prevalentemente sedentario, avevano una percentuale di eventi ischemici cardiaci quasi doppia dei controllori che salivano e scendevano dalle scale (a Londra gli autobus sono a due piani). L'autore concluse che l'attività fisica costante esercita un ruolo importante nella prevenzione di effetti ischemici cardiovascolari. L'attività aerobica", infatti, "fa crescere la richiesta di ossigeno da parte del corpo e aumenta il carico di lavoro di cuore e polmoni, rendendo cuore e circolazione più efficienti".

"Da allora sono state fatte molte ricerche che hanno confermato l'intuizione iniziale - evidenzia lo specialista - tanto che l'attività fisica fa parte delle raccomandazioni di tutte le società scientifiche per la prevenzione delle malattie cardiache".

24/06/2021

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