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Ogni mese “30 milioni di persone sul web, si informano sulla salute, il 62% sono donne e 2 minuti su 3 sono impiegati da over 45”. Ci sono anche milioni di giovani “2,5 milioni di persone 18-24 anni, 4 milioni su 25-35 anni. Numeri non trascurabili in fase giovanile. Oltre alle app di benessere e fitness, c’è sicuramente una ricerca di second opinion e informazioni su varie patologie e informazioni di servizio”. Lo ha detto Fabrizio Angelini, Ceo Sensemakers e Comscore Italia intervenendo al Talk ‘Dott. Google e gli altri: come si informa-no gli italiani’, il nono webinar promosso e organizzato da Alleati per la Salute.

Con la pandemia è comparso anche il med-influencer, cioè il medico che comunica sui social. Nella classifica si vede che tra maggio e settembre 2022 al primo posto è fisso l’infettivologo Matteo Bassetti (263mila interazioni). Segue, con 150-200 mila interazioni, la nutrizionista Silene Pretto, precedentemente al terzo posto, che contende la seconda posizione a Monica Calcagni, ginecologa molto attiva su tik tok. Ci sono poi degli esperti di settore come Nino Cartabellotta e perfino, prima della tornata elettorale, l’ex ministro della Salute Roberto Speranza.

All'incontro era presente, oltre ad Angelini, esperto nell’analisi dei media e dell’interpretazione dei dati relativi al comportamento e al profilo delle audience, Tonino Aceti, fondatore e presidente Salutequità, da sempre al fianco delle Associazioni di cittadini-pazienti nella tutela del diritto della salute e attento osservatore del fenomeno medico e della divulgazione scientifica.

“I siti che trattano temi di salute sono molto vari – continua Angelini - Ci sono quelli scientifici, con un advisory medico o redazione medica, ma c’è un aumento significativo per i siti che si occupano di benessere, danno consigli di alimentazione e attività fisica. Questo è un fenomeno a livello globale”. Oggi “si collegano circa 40 milioni di persone su web ogni mese - il 49% sono donne - ma sul totale della popolazione italiana, quasi 60 milioni di persone – osserva l’esperto - 1 italiano su 4 non usa internet: dobbiamo ricordarci che ci sono persone che non hanno accesso al web, a causa del digital divide”, il divario digitale esistente sull’accesso effettivo alle tecnologie dell'informazione. “Una parte – aggiunge - potrebbe essere non coperta da banda larga e potrebbe appartenere alla fascia che ha più bisogno di aiuto: il 31% degli italiani ha più di 60 anni”.

Da un’analisi quantitativa, “tutte le applicazioni con fitness tracking e alimentazione e benessere in genere sono le più diffuse – spiega Angelini - Con la pandemia, per la prima volta si è superato un gap storico rispetto ad altri Paesi come il Regno unito, dove il National health service è seguitissimo ed è la prima fonte di informazione medico sanitaria. Con la pandemia il bisogno di informazioni certificate, istituzionalizzate, ha portato, in Italia, 3 siti ministeriali o comunque gestiti dal servizio sanitario ad audience significative. Mi riferisco al fascicolo sanitario elettronico, dgc.gov.it (per la certificazione verde, ndr) o la app immuni, che ha avuto una vita simile a quella di altri Paesi”.

Con la pandemia l’Italia recupera 10 punti sulla ricerca web per la salute

L’Italia aveva 10 punti percentuali in meno rispetto agli altri Paesi. In coincidenza con il Covid, a inizio 2020 i livelli di ricerca di in-formazioni sulla salute su web sono aumentati e hanno raggiunto i livelli degli altri Paesi. I valori sono addirittura diventati sovrapponibili a febbraio 2021. È lo spaccato sull’andamento della ricerca su web in tema di salute da giugno 2019 fino a novembre 2022 in 4 Paesi (Italia, Usa, Uk e Spagna) registrati da Sensemakers e ComScore Italia. “C’è un trend – osserva Angelini - che ultimamente accomuna noi alla Spagna e a Uk che mostra una discesa, quasi si stia riducendo quanto guadagnato, mentre il trend degli Usa sono i più stabili. L’aumento di interesse è un dato positivo, soprattutto se si va verso siti istituzionali. La maggioranza della comunicazione mi pare sia fatto da fonti auto-revoli e, in ogni caso c’è comunque una verifica con una persona fisica, il medico, il farmacista, anche se una prima ricerca si fa online, non ci vedo nulla di strano né di negativo”.

Concorda Aceti, “ma serve la certificazione dei contenuti – aggiunge – Si deve lavorare su due piani: sull’alfabetizzazione sanitarie e sull’informazione corretta. È chiaro che il punto di riferimento deve rimanere il medico, il professionista sanitario, c’è un passaggio ineludibile – conclude - tra quello che si legge su web e medico”.

Secondo il presidente di Salutequità, il fenomeno non mette in crisi il rapporto medico-paziente, ma evidenzia una compensazione al problema della riduzione del tempo dedicato alla comunicazione. “Anche se è in aumento la ricerca su temi di salute nel web – continua Aceti - c’è un alto livello di fiducia nel personale sanitario: medici, farmacisti e infermieri. Sono i dati dell’Istat. Non assocerei però la ricerca sul web a una scarsa fiducia nei confronti dei professionisti sanitari”, ma alla riduzione del tempo dedicato alla comunicazione con i pazienti. Con l’aziendalizzazione del servizio- sottolinea l’esperto - si va a discapito della comunicazione: per gli infermieri c’è addirittura il minutaggio. È un effetto nefasto dell’organizzazione”.

Inoltre, riflette il presidente di Salutequità, “credo che ci si vada ad informare per essere anche più proattivi nel porre le domande al medico, ma anche perché c’è una mancanza di informazione istituzionale. Chi deve fare un intervento di cardiochirurgia, vuole sapere quale sia il centro migliore. L’informazione sulla performance dei diversi ospedali è complessa. Se per esempio ho una malattia e voglio accedere alla terapia più innovativa, qual è la trasparenza del sistema sanitario sul percorso? Il cittadino non lo sa, la ricerca su internet. Non è un caso – conclude - che si cerchi di più dove i servizi regionali sono poco performanti”.

22/11/2022

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