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Intervista a Paola Giordano ematologa pediatrica professoressa presso la Clinica Universitaria Pediatrica “B. Trambusti” dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Consorziale Policlinico Giovanni XXIII di Bari e a Giuseppe Lassandro, medico specialista in ematologia pediatrica alla Clinica Universitaria Pediatrica “B. Trambusti” dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Consorziale Policlinico Giovanni XXIII di Bari.

In questi mesi di pandemia, la prima preoccupazione per molti genitori di bambini e adolescenti con trombocitopenia immune (ITP) è se la malattia renda i loro figli più esposti all’infezione da Sars-CoV-2. Tendenzialmente, il paziente con ITP non presenta una particolare suscettibilità al Covid-19 rispetto alla popolazione generale. Sono piuttosto le conseguenze sociali della malattia ad avere un impatto, non trascurabile, specialmente sui più piccoli.

L'emergenza Covid ha infatti aumentato l’isolamento sociale anche in chi soffre di ITP, malattia rara dovuta a un insufficiente numero di piastrine nel sangue che aumenta il rischio di emorragie, anche gravi, in seguito a traumi minori e si rivela particolarmente critica quando, ad essere ammalati, sono i bambini. La scuola, soprattutto in tempi di pandemia, svolge un ruolo importante per lo sviluppo psicofisico del bambino e offre l’occasione per superare l’isolamento. Servono però delle precauzioni per chi è in classe, nella consapevolezza che la Didattica a distanza (Dad), in alcuni casi, può essere una risorsa, soprattutto per chi soffre di ITP.

A scuola con la trombocitopenia immune (ITP)

“Qualsiasi infezione virale potrebbe determinare una riduzione della conta piastrinica. Pertanto, la prevenzione del contagio - attraverso l’uso della mascherina, l’igiene delle mani e il distanziamento sociale - resta l’arma vincente per non interrompere la frequenza scolastica nei soggetti con ITP”, spiega Paola Giordano ematologa pediatrica professoressa presso la Clinica Universitaria Pediatrica “B. Trambusti” dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Consorziale Policlinico Giovanni XXIII di Bari.

“La comunità scolastica – continua la professoressa - non deve essere vista come un contenitore esclusivo di nozioni, bensì come un’esperienza composta da relazioni, scoperte e anche fallimenti che conducono alla vita adulta. La scuola, dunque, è un diritto irrinunciabile per i bambini”.

Garantire un ambiente scolastico sicuro mediante l’adozione di protocolli adeguati è importante anche per dare agli studenti con ITP la possibilità di frequentare le lezioni in classe, con gli altri alunni. “Si sente spesso dire che ‘il bambino non è un piccolo uomo’, intendendo che i bambini si differenziano dagli adulti non solo per i dati antropometrici (tra cui peso ed altezza) ma, soprattutto, per le tappe dello sviluppo psicomotorio tipiche di ogni età - osserva la prof.ssa Giordano. - Infatti, ogni bambino presenta caratteristiche peculiari a seconda che sia un neonato (0-30 giorni), un lattante (1-6 mesi), un infante (6 mesi - 6 anni), un fanciullo (6-12 anni) o un adolescente (12-18 anni). Il nucleo familiare è indispensabile fino ai 6 anni per garantire l’acquisizione delle competenze cognitive, linguistiche e motorie. Dopo i 6 anni, la maturazione del bambino passa attraverso la frequenza delle comunità”.

Il concetto di corresponsabilità nell’ITP

La trombocitopenia immune (ITP) in età pediatrica è una malattia che può essere controllata, anche nelle forme più severe, con adeguati trattamenti farmacologici. Questa patologia, quindi, non rende impossibile lo stare in classe, cosa che, tra l’altro, andrebbe facilitata. “La parola chiave per vivere serenamente la frequenza scolastica è la corresponsabilità”, aggiunge Giuseppe Lassandro, medico specialista in ematologia pediatrica alla Clinica Universitaria Pediatrica “B. Trambusti” dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Consorziale Policlinico Giovanni XXIII di Bari. “La corresponsabilità deve declinarsi come un processo virtuoso tra bambino, caregiver, medico e insegnante. Nella fase acuta della ITP – precisa Lassandro - il ruolo del medico deve essere quello di confortare la famiglia sul basso rischio di eventi traumatici, e conseguentemente emorragici, nella comunità scolastica. L’insegnante, invece, deve essere edotto sui segnali di allarme per un possibile sanguinamento e deve conoscere la catena dell’emergenza da avviare. Nella fase cronica, invece, vivere la quotidianità con i propri coetanei permette ai bambini con ITP di non sentirsi diversi e di inquadrare la malattia come un singolo aspetto della vita, piuttosto che l’unico”.

Serve quindi un confronto tra tutte le parti in causa: genitori, insegnanti e medici sono chiamati a interfacciarsi per creare un percorso scolastico che sia idoneo per il singolo bambino e che può anche essere differente per bambini che, pur avendo le medesime condizioni cliniche, si trovino in contesti diversi. “Tramite il Decreto del Ministero dell’Istruzione n.80 del 03 agosto 2020, le scuole si sono già dotate di percorsi che garantiscono l’igiene”, precisa Lassandro. “La corresponsabilità deve prevedere che famiglia e medico si accertino che i protocolli vengano rispettati”.

La Dad: una risorsa nei bambini e ragazzi con ITP

“La didattica a distanza (Dad), seppur non sia la risposta definitiva alla pandemia, è una nuova risorsa per i bambini con ITP che talora sono ospedalizzati per le cure o per il follow-up - sottolinea la professoressa Giordano -. La corresponsabilità del medico e dell’intero sistema sanitario deve far sì che in ospedale vi siano gli strumenti per la didattica a distanza, come rete wi-fi e computer portatili. Una Circolare del Ministero della Salute del 4 settembre 2020 – aggiunge l’ematologa - con particolare riguardo ai lavoratori e alle lavoratrici fragili, chiarisce che il concetto di fragilità va individuato in quelle condizioni dello stato di salute del lavoratore/lavoratrice rispetto alle patologie preesistenti che potrebbero determinare, in caso di infezione, un esito più grave o infausto e può evolversi sulla base di nuove conoscenze scientifiche sia di tipo epidemiologico sia di tipo clinico. Ciò significa - conclude Giordano - che un bambino con ITP non è sic et simpliciter una persona fragile obbligata alla didattica a distanza”.

La condizione di fragilità, nel caso della trombocitopenia immune, che è una patologia acquisita, deve essere definita in maniera dinamica, valutando ogni singolo bambino per quelle che sono le sue condizioni cliniche, ma anche per quelle che sono le sue risorse di benessere, tra cui il contesto familiare, le opzioni terapeutiche e la sede scolastica di frequenza. Serve quindi un cambio di passo e, sull’esperienza della pandemia, offrire ai bambini con ITP il supporto necessario per svolgere il loro percorso scolastico nella modalità più consona – in presenza o Dad - in base allo stato di malattia. Tutto questo, oltre ad abbattere l’isolamento sociale, è a vantaggio dello sviluppo psicofisico dei pazienti con ITP in età pediatrica.

L’importanza dell’attività sportiva

Lo sport, anche nei bambini con ITP, è un potente strumento di crescita del bambino e dell’adolescente. Oltre ai ben noti benefici fisici (prevenzione dell’obesità e delle malattie cardiovascolari), lo sport è aggregazione sociale, rispetto delle regole, esperienza di vittoria e sconfitta. “Ai bambini con ITP non deve essere vietato a priori praticare sport”, afferma la professoressa Giordano. Il dottor Lassandro, proseguendo, esplicita: “ci sono tante discipline sportive, anche non di contatto, che possono praticare i bambini con ITP, lo sport può essere la risposta per sentirsi alla pari con i coetanei e superare gli aspetti negativi derivanti dalla chiusura e dall’isolamento sociale vissuti in epoca pandemica”. Lassandro e Giordano sono autori di un interessante editoriale dal titolo: Sport and Children with Immune Thrombocytopenia: Never Give Up pubblicato sulla rivista internazionale Current Sports Medicine Reports.

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