Il richiamo di vaccino anti-Covid per i pazienti immunodepressi "è fondamentale, ma nei soggetti particolarmente fragili la loro efficacia può essere minore a causa della patologia di base e/o delle terapie a cui sono sottoposti". Sono i risultati di un gruppo di 5 studi, denominato 'Convers', condotti dai ricercatori dell'ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma su diverse tipologie di pazienti fragili di età compresa tra i 12 e i 25 anni. L'ultimo studio, su bambini e ragazzi affetti da infezione perinatale da Hiv, è stato appena pubblicato su 'Clinical Infectious Diseases'.
"La maggior parte dei soggetti immunodepressi - spiega Paolo Palma, responsabile di Immunologia clinica e Vaccinologia dell'ospedale della Santa Sede - risponde al vaccino, ma in misura minore rispetto ai soggetti sani, con delle differenze da gruppo a gruppo, mentre una percentuale minoritaria non sviluppa purtroppo alcuna forma di immunità al virus. Per questi pazienti fragili è importante intervenire con una strategia vaccinale di rinforzo e personalizzata". Adesso si dovranno effettuare ulteriori studi per comprendere a fondo i meccanismi biologici responsabili della minore risposta vaccinale, riferiscono dal Bambino Gesù. Questo permetterà di intervenire in maniera personalizzata per ogni gruppo di bambini fragili, risolvendo il problema della scarsa risposta al vaccino.
"La strategia vaccinale va adattata alle specificità di ogni gruppo di pazienti - prosegue Palma - Alcuni gruppi rispondono meglio a una vaccinazione eterologa, altri hanno bisogno di una formulazione specifica, altri ancora devono rimodulare i trattamenti a cui sono sottoposti e che influiscono negativamente sull’efficacia della vaccinazione. In attesa di individuare le migliori strategie vaccinale restano fondamentali le dosi aggiuntive - rimarca Palma - che garantiscono comunque una valida forma di protezione in queste categorie di pazienti. La minore efficacia degli attuali vaccini anti-Sars-CoV-2 nelle diverse tipologie di soggetti fragili conferma inoltre l’importanza della vaccinazione sia dei loro caregiver che della popolazione in generale".
Gli studi sull'efficacia dei vaccini anti-Covid sugli immunodepressi sono stati condotti dai ricercatori dall'Unità di ricerca di Immunologia clinica e Vaccinologia su 5 diverse categorie di bambini e ragazzi: con immunodeficienza primitiva, trapiantati di cuore/polmone, con malattia infiammatoria cronica intestinale, con sindrome di Down e con infezione perinatale da Hiv. I progetti di ricerca sono stati condotti su una coorte complessiva di 165 pazienti di età compresa tra i 12 e i 25 anni, di cui 21 affetti da immunodeficienza primitiva, 34 sottoposti a trapianto di cuore e polmone (30 cuore, 2 cuore-rene, 2 polmone), 30 da malattia infiammatoria cronica intestinale, 40 da sindrome di Down e 40 da Hiv.
Nei vari gruppi è stata analizzata la risposta alle prime due dosi del vaccino a mRna Pfizer, sia quella sierologica (cioè la quantità di anticorpi presenti nel sangue) sia, in 3 dei 5 gruppi, quella cellulare (ovvero la presenza di linfociti T specifici contro il Sars-CoV-2 e, nel caso dei trapiantati di fegato e rene, dei linfociti B). I dati sono stati poi confrontati con quelli di gruppi di controllo composti da persone sane, sottoposte alla vaccinazione anti-Covid nello stesso periodo.
Ebbene, "dai 5 studi emerge che la maggior parte dei bambini immunodepressi risponde al vaccino. Un risultato confortante - evidenziano dal Bambino Gesù - anche se in misura generalmente minore rispetto ai soggetti sani (meno anticorpi e meno linfociti specifici contro il Sars-CoV-2) e con delle differenze da gruppo a gruppo, mentre una percentuale minoritaria di soggetti, particolarmente immunocompromessi, non sviluppa alcuna forma di immunità al virus".
14/07/2022
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