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Una persona su 5 nel corso della vita ha almeno un episodio di orticaria, con un picco tra i 20 e i 40 anni di età e maggior frequenza nel sesso femminile: il rapporto è di 2 a 1, in particolare nella forma cronica. Una patologia che al di là del fattore estetico genera stress e ansia, disagio e disturbi del sonno. L’orticaria, infatti, non si limita solo alla difficoltà nel convivere con i sintomi imprevedibili, tra cui pomfi (rilievi solidi della cute di dimensioni e forma variabile che assomigliano a “punture di zanzare” a volte di grosse dimensioni), prurito e angioedema, ma ha un risvolto negativo sulla qualità della vita dei pazienti.

Tuttavia, nonostante la malattia abbia un forte impatto psicologico sulla vita delle persone che ne soffrono, ancora troppi pazienti aspettano oltre un anno prima di consultare un medico che diagnostichi correttamente la patologia.

Soprattutto non amano raccontare la loro condizione che causa ansia e depressione. Stiamo parlando del 15-20% della popolazione, secondo le stime della SIMG - Società Italiana di Medicina Generale e delle cure primarie. Non solo: se il paziente decide di parlare della sua malattia, lo fa con diversi esperti.

Da una survey effettuata per “Cambio Pelle”, tra giugno e ottobre 2021 su 660 italiani emerge infatti che oltre il 60% degli intervistati ha consultato più di uno specialista, ma metà degli intervistati non sa di quale tipologia di orticaria soffra, mentre il 60% non è soddisfatto dell’attuale terapia prescritta.

Convivere con l’orticaria

“L’orticaria, un’infiammazione della pelle ancora poco conosciuta, ha un peso anche sulla sfera intima, di cui non si parla mai per vergogna e pudore – spiega Filomena Bugliaro, coordinatrice delle attività di Federasma e Allergie, la Federazione italiana pazienti e Organizzazione di volontariato che dal 1994 riunisce le principali associazioni italiane di pazienti impegnate nella lotta alle malattie respiratorie e allergiche –. Pochi lo sanno, ma per un uomo affetto da orticaria anche avere un rapporto sessuale protetto diventa un problema. Così come per una donna, vivere i giorni del ciclo è un calvario. Capisco che sia difficile parlare di certi argomenti, figurarsi se una persona può raccontare una cosa del genere con facilità. Inoltre, i pazienti preferiscono non parlare della loro malattia perché hanno paura di essere considerati come persone che si lamentano per una cosa di poco conto. Quando si parla di una malattia dermatologica, che ha una manifestazione sulla cute, la prima reazione che sentiamo è “c’è altro, c’è di peggio, cosa sarà mai”. È sbagliato: una malattia dermatologica, in una forma idiopatica e grave come può essere l’orticaria cronica spontanea, condiziona pesantemente la vita di chi ne soffre. Soprattutto le donne, più colpite rispetto agli uomini, ma è anche vero che questi ultimi siano meno portati a condividere la loro esperienza con gli altri”.

Anche se si tratta di una malattia dermatologica, secondo Bugliaro “l’orticaria ha un impatto devastante sulla quotidianità di chi ne è colpito con conseguenze rilevanti, fino alla perdita del lavoro. Molti pazienti a un certo punto, quando la malattia interessa le estremità, sono costretti a indossare pantofole o stare scalzi perché non possono sopportare calzature troppo strette. Ecco, non si può lavorare in pantofole, a meno che non si stia lavorando da remoto, in smart-working. E ancora: pazienti che non potevano lavorare con i bambini all’asilo o a scuola, perché anche tenerli in braccio diventava per loro impossibile, la pressione infatti provoca dolore, e perché dovevano lavarsi molto spesso le mani”.

Anche camminare a lungo, portare una borsa o uno zaino in spalla “provoca dolore –sottolinea Bugliaro – così come andare al mare con un costume aderente genera un grande fastidio, sempre a causa della pressione sulla pelle. Senza contare il “peso psicologico” della malattia: le persone si allontanano, ci vedono con la pelle gonfia, a volte con il viso deturpato dai pomfi, si spaventano pensando a qualcosa di contagioso. Quindi l’orticaria da malattia diventa uno stigma sociale”.

L’indagine per “Cambio pelle”

Dall’indagine effettuata tramite la pagina Facebook “Cambio Pelle”, emerge che l’orticaria viene nella maggior parte dei casi diagnosticata dallo specialista (allergologo 30,6% e dermatologo 24,2%); tra coloro che indicano quanto tempo è passato prima che si rivolgessero a un operatore sanitario, l’80,2% dei pazienti che hanno risposto alla domanda (ovvero 252 soggetti del campione) dichiara di averci impiegato 6-12 mesi; il 10,7% 2-3 anni e il 9,1% addirittura più di 3 anni.

Ma qual è il motivo che spinge il paziente ad andare dal medico solo dopo 6-12 mesi dalla comparsa dei primi sintomi?

“La maggior parte delle persone –afferma Bugliaro – quando ha dei sintomi si rivolge al proprio medico di medicina generale o va dal farmacista. Ma il medico di famiglia non sempre è specializzato in dermatologia. In questo modoi pazienti vengono trattati con rimedi topici, creme, emollienti”.

Quindi anziché intercettare un bisogno e avviarlo verso un percorso corretto, in realtà “questo bisogno – sottolinea Bugliaro – rimane imbrigliato in una serie di tentativi di soluzioni senza un approfondimento”.

Ma perché il medico di famiglia non indirizza fin da subito il paziente a uno specialista?

“Difficile rispondere – ancora Bugliaro -. Di sicuro con Federasma e Allergie, quest’anno, siamo impegnati a realizzare un progetto con lo scopo di dialogare con i medici di medicina generale e gli specialisti, affinché non restino ancorati e chiusi dietro un recinto, ma si attivino delle collaborazioni più strette anche attraverso reti territoriali. Non costa nulla per un medico di famiglia mandare il paziente da un dermatologo/allergologo, ma deve conoscere i campanelli di allarme perché l’orticaria non è uno sfogo temporaneo. La prima cosa per il medico di base è saper riconoscere che c’è un sintomo, ma non tutti i medici hanno tempo e la formazione giusta per farlo. Spesso il paziente si sente dire che è tutta colpa dell’ansia. Ecco, noi chiediamo di non banalizzare un sintomo dermatologico”. La stessa survey, infatti, segnala che i disturbi di ansia e depressione interessano il 73,2% degli intervistati, il 25,3% dei quali riporta problemi nella sfera intima e il 43,8% riferisce di ricadute importanti anche a livello lavorativo.

Rete territoriale

Secondo Bugliaro, manca anche una rete territoriale per gestire e trattare i pazienti con l’orticaria. “Di fronte a un sintomo che persiste da tempo – sottolinea – il medico non solo deve essere in grado di riconoscerlo, ma attivarsi subito per garantire al paziente un percorso diagnostico-terapeutico corretto. Deve sapere a chi rivolgersi perché a volte ci sono centri specializzati che hanno una visione parziale della persona e si limitano a curare la pelle, oppure a sospettare un’allergia sottoponendo il paziente ad approfondimenti diagnostici, per esempio, per allergie alimentari che non c’entrano con una malattia immunologica qual è l’orticaria, perché solo con una visione olistica della persona si può arrivare prima e bene a una diagnosi corretta”. A tale proposito, la survey rileva che il 46% degli intervistati vorrebbe avere più materiale per il monitoraggio sull’andamento e la gravità della malattia. In particolare, chiedono teleconsulto (38%), siti web dedicati (36%) e supporto psicologico (33%).

Paziente più consapevole della malattia

Alla luce di questi dati, secondo Bugliaro, è necessario intervenire su più fronti: “Insistere perché ci sia una maggiore consapevolezza, affinché le persone non si arrendano – tiene a sottolineare la coordinatrice di Federasma e Allergie – e non si fermino a pensare ‘sono stressata/o, quindi se presto attenzione all’alimentazione per qualche mese, mi passa tutto’. Sicuramente è importante che anche il paziente acquisisca maggiore consapevolezza attraverso l’informazione che attualmente, rivela la survey, ottiene soprattutto dal web (45,7% del campione, di cui su siti dedicati all’orticaria per il 39%). Medico e specialista valgono per il 33%. Ma “è altrettanto fondamentale – aggiunge Bugliaro - parlare di più della malattia, ancora poco nota, tanto più che ci sono a disposizione terapie efficaci, alle quali bisogna accedere il prima possibile, attraverso una diagnosi precoce. E ancora: far conoscere la rete dei centri dermatologici e allergologici in grado di prendere in carico il paziente con orticaria, di individuare la malattia che ha e di trattarla nel miglior modo possibile. Chiaramente più si rimanda il momento della diagnosi, e quindi della terapia, e più aumenta la probabilità che si presentino sintomi più forti e delle recidive”.

Collaborazione tra Medico di medicina generale e specialista

Non solo il medico di medicina generale e il farmacista “dovrebbero indirizzare il paziente da uno specialista. Ma anche lo specialista – conclude Bugliaro – una volta applicato un protocollo terapeutico, dovrebbe seguire il paziente insieme al medico di famiglia. Recentemente abbiamo avuto testimonianza di un medico di famiglia che aveva inviato un suo paziente con orticaria cronica spontanea a uno specialista, ma aveva perso completamente il suo assistito. Di lui non aveva più avuto notizie. Questo è un errore da non fare, perché la storia del paziente nel suo complesso è importante e il medico di famiglia può essere un grande alleato per facilitare il monitoraggio per la salute e benessere della persona nel suo insieme”. Il monitoraggio, infatti, è una questione critica perché, come si legge nel sondaggio, il 44,9% dei pazienti non ha ricevuto informazioni in merito.

Le keyword da non dimenticare

Sulla base dei risultati emersi dalla survey e della testimonianza della coordinatrice di Federasma e Allergie, questi dovrebbero essere i principi di comportamento:

  • non sottovalutare a lungo i sintomi: la pazienza in questo caso potrebbe non essere una virtù;
  • consultare il medico di famiglia;
  • farsi indirizzare al più presto verso uno specialista, allergologo o dermatologo di un centro di riferimento;
  • seguire le indicazioni dello specialista facendosi supportare dal medico di medicina generale.

Un comportamento di questo genere, oltreché ridurre i tempi di presa in carico della malattia, potrebbe aiutare a evitare conseguenze complesse sulla sfera sociale e lavorativa.

24/05/2022

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