PNRR e carenza di personale, cosa dicono i dati
Intervista a Anna Lisa Mandorino, segretaria generale di Cittadinanzattiva
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Intervista a Anna Lisa Mandorino, segretaria generale di Cittadinanzattiva
In 39 province italiane, più di un terzo del totale, è elevato lo squilibrio tra il numero dei professionisti sanitari e cittadini. Inoltre, delle case della comunità e degli ospedali di comunità previsti da Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), solo poco più di un terzo saranno realizzati nelle aree interne. Sono i dati del Report di Cittadinanzattiva “Bisogni di salute nelle aree interne, tra desertificazione sanitaria e Pnrr”.
Tutto è partito “da un progetto europeo Ahead (Action for health and equity: addressing medical desert) e l’obiettivo era di verificare, indipendentemente dai luoghi comuni sul divario Nord-Sud del Paese, quali fossero le condizioni del deserto sanitario” inteso come “difficoltà di accesso a servizi di prossimità e la carenza di operatori sanitari - spiega Anna Lisa Mandorino, segretaria generale di Cittadinanzattiva Mandorino - Con il progetto Ahead abbiamo indagato 5 categorie di operatori sanitari - medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, farmacisti ospedalieri, ginecologi e cardiologi ospedalieri - per capire quanto questi operatori fossero presenti a livello regionale e anche provinciale”.
Sicuramente “c’è un problema generalizzato, soprattutto se si considera la disponibilità di professionisti sanitari - sottolinea Mandorino - Noi, con questo progetto, abbiamo analizzato soprattutto i medici, ma mancano anche gli infermieri. Il Pnrr parla spesso del ruolo dell’infermiere - e, per certi servizi come gli ospedali di comunità, vedono la figura dell’infermiere come prevalente - ma in realtà la lettura che contrappone Nord e Sud non vale - continua l’esperta -perché anche il Nord vede la carenza di alcuni operatori sanitari, in particolare medici di medicina generale e pediatri di libera scelta, mentre cardiologi e ginecologi mancano soprattutto al Sud. Il tema della carenza della disponibilità di medici si può riscontrare in tutto il paese per la desertificazione avvenuta nel tempo, soprattutto per le infrastrutture sanitarie territoriali.
Nel dettaglio, il report rivela che il sovraffollamento negli studi dei medici di famiglia e dei pediatri, particolarmente è evidente nel Nord con realtà come Asti e provincia con un solo pediatra per 1.813 bambini, rispetto gli 800 previsti dalla normativa. La carenza di ginecologici ospedalieri interessa di più il Mezzogiorno. Oltre Caltanissetta, dove c’è uno specialista ogni 40.565 donne, anche Macerata, Viterbo, La Spezia e tre province della Calabria (Reggio Calabria, Vibo Valentia e Cosenza).
Evidenti le differenze che si rilevano, ad esempio, tra la Provincia Autonoma di Bolzano, dove mancano medici di famiglia, ma anche i cardiologi ospedalieri (circa 1 professionista ogni 200mila abitanti, ma la media è di 1/6.741), e Pisa e provincia, dove abbondano (1/3.147). Nella provincia di Reggio Emilia c’è invece carenza di farmacisti ospedalieri: uno ogni 264.805 abitanti (la media è di 1/26.182), mentre va meglio nella provincia di Forlì-Cesena con 1/9.982.
Contrariamente a quanto ritengono alcuni, “non si è indebolita l’assistenza territoriale per rafforzare l’ospedale - osserva Mandorino - In realtà è la politica di riduzione di definanziamento e di tagli di strutture e posti letto ad aver ridotto l’accesso, sia per ospedale che territorio. Realtà che - sottolinea - non vanno messe in contrapposizione perché per il cittadino devono integrarsi in maniera compiuta ed efficace”.
In questo contesto, “il Pnrr - continua l’esperta - risponde, almeno parzialmente, a queste carenze che abbiamo evidenziato con il rapporto Ahead. Sappiamo che il piano è molto ambizioso, è collegato a un processo molto lungo che riguarda la costruzione di strutture murarie di case di comunità che richiedono anni e anni: i primi ritardi purtroppo si avvertono. Dati incompleti, ma che ci danno il senso di quello che sta accadendo - ricorda Mandorino - ci dicono che è stato speso solo lo 0.5% di quanto previsto per la missione 6, una percentuale molto bassa”.
Certo, “in parte la riforma, il DM77 collegato al Pnrr, mette mano alla desertificazione con la nascita e il rafforzamento di strutture territoriali per colmare le lacune nell’assistenza di prossimità - continua la segretaria di Cittadinanzattiva - Ci sono però con 2 problemi, criticità. Queste strutture devono essere popolate, e qui - ribadisce Mandorino - torniamo al punto da cui è partito il report, che evidenzia come queste figure, al momento, non sono disponibili per il blocco del turnover, il taglio alla spesa di personale, per esempio. Questi anni saranno quindi ancora difficili, pagheremo le conseguenze di quello che non è stato fatto. Superata la fase critica, però, va considerato che l’investimento sul personale è strutturale e va reiterato. Richiederà risorse aggiuntive o è destinato a fallire”.
L’altro lato critico del Pnrr è che “queste strutture, che dovevano colmare le lacune nelle aree marginali e interne, sono previste solo nel 16% dei casi. In pratica - illustra l’esperta - si vanno a rafforzare le aree che avevano già servizi, mentre rischiano di lasciare sguarnite, al momento, le aree che già erano in sofferenza prima del Pnrr. Le case di comunità, infatti, sono definite di prossimità, ma sono una ogni 50mila abitanti. Considerando la conformazione geografica del nostro Paese, sappiamo che in alcune aree non è uno standard di prossimità perché posso essere distanti km dall’abitazione”. Come si legge nel Report, non è previsto alcun ospedale di comunità nelle aree interne periferiche e ultra periferiche di 7 Regioni, Piemonte, Liguria, Valle D’Aosta, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Umbria e Marche.
“Il Pnrr ha il potenziale per essere un intervento che innova e rafforza l’assistenza territoriale - conclude Mandorino - ma vanno create connessioni e va rafforzato, con un investimento, quanto già esiste nel territorio, rafforzando la rete tra gli operatori, portando a sistema le reti tra gli operatori e la medicina digitalizzata per coprire anche aree più remote, più fragili e lontane. L’ideale sarebbe che, quando le case di comunità saranno costruite come struttura, tutto quello che è propedeutico e funzionale per i diritti dei cittadini fosse già realizzato, con un’ottimizzazione e un investimento su ciò che già esiste”.
21/04/2023
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