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Esami al cuore raddoppiati e record di Tac al torace: si tratta di una parte dell’eredità del post Covid che emerge uno studio condotto in una delle prime regioni italiane a essere colpite dalla pandemia, ovvero la Lombardia, su circa 50mila persone guarite dall'infezione e pubblicato sul 'Journal of Internal Medicine'. La domanda che si sono posti i ricercatori è: cosa è successo dopo 6 mesi in chi ha contratto l'infezione e si è negativizzato entro il 30 giugno 2020? I risultati sono stati resi noti direttamente da uno degli autori, Sergio Harari dell'università Statale di Milano, sul 'Corriere della Sera'. Il lavoro è stato realizzato da esperti fra cui Pier Mannuccio Mannucci (Policlinico di Milano) e scienziati dell'Istituto Mario Negri (Alessandro Nobili, Giuseppe Remuzzi, Mauro Tettamanti, Barbara D'Avanzo e Alessia Galbussera), con la Regione Lombardia (Ida Fortino e Olivia Leoni).

Si è partiti dall'analisi dei dati amministrativi (resi anonimi) della Regione. E sono stati tracciati i nuovi ricoveri ospedalieri, gli accessi in Pronto soccorso, le visite mediche, gli esami di laboratorio e strumentali di tutti i tipi (radiologici e non) e il consumo di farmaci fino al 31 dicembre 2020. I pazienti sono stati divisi in tre gruppi: malati a domicilio, ricoverati in reparti non intensivi e pazienti curati nei reparti di rianimazione. Sono stati esclusi dall'analisi gli ospiti delle Rsa. Il 43% dei 48.148 cittadini esaminati non aveva fatto ricorso all'ospedale (età media 50 anni), il 54% è stato curato in reparti non intensivi (età media 62 anni) e il 3% in terapia intensiva (età media 59 anni, solo il 13,5% over 70, "a riprova della drammatica selezione che è stato necessario attuare fra chi si poteva o meno assistere, vista la limitatezza dei posti letto nelle rianimazioni", scrive Harari). Il 64% di chi è riuscito a gestire a casa la malattia era donna, percentuale che scende al 22% tra chi è stato in terapia intensiva, "dato che conferma la minor gravità dell'infezione nel genere femminile".

A distanza di sei mesi dalla negativizzazione del tampone sono deceduti l'1,2% degli infettati che avevano sofferto di Covid a domicilio, il 2% dei ricoverati nei reparti non intensivi ("questi hanno avuto la peggior sopravvivenza", fa notare l'esperto) e lo 0,7% di quelli che erano stati assistiti nelle rianimazioni. Nello stesso periodo sono dovuti ricorrere a un nuovo ricovero il 5,3% di quelli che erano stati curati a casa, il 10,9% di quelli che erano stati ospedalizzati e 16,3% di era stato ricoverato in intensiva. La maggior parte delle nuove ospedalizzazioni sono state determinate da cause cardiorespiratorie, renali e neurologiche. Anche gli accessi ai Pronto soccorso sono stati molto più frequenti in chi è stato ricoverato rispetto a chi è rimasto a casa.

Gli autori dello studio hanno poi messo a confronto lo stesso gruppo di persone nello stesso periodo di tempo del 2019, prima della pandemia, quanto a consumo di risorse sanitarie e farmaci, in pratica la medesima popolazione è stata usata come controllo di sé stessa. Risultato: le visite mediche sono più che raddoppiate rispetto al pre-pandemia, le spirometrie hanno avuto una moltiplicazione di 50 volte nelle persone che erano state in intensiva, gli elettrocardiogrammi sono più che quintuplicati nei pazienti curati nelle rianimazioni e oltre che raddoppiati in quelli ricoverati nei reparti non intensivi. Stesso andamento per le Tac del torace, che sono cresciute di 32 volte nei dimessi dai reparti più critici e di 5,5 volte in quelli ricoverati nei reparti di degenza normale. Anche la necessità di controlli degli esami del sangue è cresciuta moltissimo, in tutti i gruppi, compreso in chi il Covid l'ha avuto a casa.

Nei sei mesi di osservazione, prosegue Harari, è aumentato poi il consumo di farmaci e nuove terapie, "il che significa che il virus ha anche indotto lo sviluppo di nuove malattie, in particolare di natura metabolica, come il diabete (dato che è stato confermato da un importante studio americano appena pubblicato), cardiovascolare, neuropsichiatrica e respiratoria, oltre a aggravare le preesistenti".

"Una riflessione attenta sui servizi da potenziare va immediatamente fatta, anche perché questo studio è confermato da altre recenti analisi che vanno nella stessa direzione: il post Covid è una condizione che richiede cure e attenzioni particolari - conclude Harari - Le ragioni sono probabilmente da ricercarsi nello stato di infiammazione cronica indotta dal virus con una disregolazione immunitaria che persiste nel tempo. Bisogna poi considerare che queste sono le valutazioni effettuate dopo solo sei mesi, non abbiamo ancora idea di cosa possa avvenire più in là nel tempo e neppure se le varianti che sono arrivate successivamente abbiano lo stesso effetto. C'è ancora molto lavoro da fare per scoprire tutti gli effetti del virus ma è già ora di pianificare come correre ai ripari per far fronte anche a queste conseguenze della pandemia".

05/04/2022

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