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Lo scienziato Silvio Garattini, presidente dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano, in occasione della Settimana Mondiale del Cervello ha partecipato in prima persona alle iniziative organizzate dall'Irccs, occupandosi di un tema che lui, 94 anni di età, conosce bene: invecchiare in salute. "Il mio personale segreto? Non ho segreti - afferma sorridendo all'Adnkronos Salute - Solo cerco di seguire buone abitudini di vita".

Per Garattini ha senz'altro funzionato. "C'è speranza, quello sì - sorride ancora - non c'è mai la certezza di niente, perché tutto è frutto di probabilità. Ma, insomma, se uno si mette in buone condizioni ha più chance di resistere". In realtà, al di là della biografia e della storia personale, quello che Garattini porta è il punto di vista della ricerca scientifica al riguardo. Nella "settimana del cervello - evidenzia - quello che voglio raccontare è che anche il cervello invecchia, come tutti gli organi".

Quali sono le condizioni che conosciamo già e che sono in grado di aiutare a migliorare e a ridurre il rischio di demenze senili? "L'attività fisica è una di queste - elenca Garattini - Così come l'attività ricreativa, avere una maggiore scolarità, studiare, avere rapporti sociali, perché la solitudine è un fattore di rischio. E naturalmente pesa anche il livello socio-economico. È importante poi l'alimentazione, il sonno".

Il farmacologo racconta cosa succede a un cervello che invecchia: "Diminuisce il numero di neuroni col tempo, e poi diminuisce il numero delle diramazioni, diminuiscono i punti di contatto". C’è, continua, "tutto un impoverimento. E poi, in rapporto con la fragilità e con la comparsa di nuove proteine che danno fastidio ai neuroni, alla fine abbiamo questo lento processo per cui si arriva alla demenza senile o all’Alzheimer, che sono caratterizzati dalla presenza di un eccesso di due proteine che sono la beta-amiloide e la proteina tau. Questo tipo di fenomeni che si verificano nell'uomo, succedono anche in certi topi, per cui questo permette di studiare farmaci e condizioni che possono migliorare questi processi".

Per esempio, spiega Garattini, "si è visto che somministrando in topi che hanno questo modello di Alzheimer il sangue di topolini giovani, si ottiene un vantaggio: migliora la condizione del topo anziano. Da questo è scaturita tutta una serie di studi che punta a capire che cosa c'è nei topi giovani che può essere d'aiuto nei topi più vecchi con l'idea che questo poi possa essere fatto anche nell'uomo". Oggi, ricorda, "sta aumentando la durata di vita: il numero dei centenari in Italia è in crescita e, se questo trend continuerà così, nel 2050 avremo circa 300.000 donne centenarie e 60.000 maschi". È importante dunque capire come affrontare al meglio l'invecchiamento. "E i ricercatori stanno studiando. Non ci sono in realtà farmaci efficaci, però intanto ci sono buone abitudini di vita che possono aiutare. Lo dice la scienza, seguiamola con fiducia", conclude.

18/03/2023

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