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La personalizzazione della cura, attraverso la profilazione genomica estesa da parte del Molecular Tumor Board (Mtb) "consente di modificare il trattamento scelto in circa un terzo dei pazienti colpiti da tumore metastatico. In questo modo è possibile garantire ai malati le migliori opportunità di cura". Sono questi i risultati preliminari dello studio clinico 'Rome Trial' presentati al recente congresso Tat (Targeted anticancer therapies) della Società europea di Oncologia medica (Esmo).

Nel lavoro "sono stati coinvolti 1.319 pazienti, ne sono stati selezionati 721 (55%) perché portatori di alterazioni genomiche rilevanti e, nel 24% dei casi, sono state scoperte mutazioni genomiche suscettibili di trattamento con farmaci a bersaglio molecolare – afferma Paolo Marchetti, direttore scientifico Idi di Roma, professore ordinario di Oncologia all’Università La Sapienza di Roma e presidente della Fondazione per la Medicina Personalizzata -. In alcuni casi sono emerse alterazioni a livello germinale, cioè trasmesse ereditariamente, consentendo così di aprire un ombrello protettivo anche sugli altri componenti della famiglia grazie all’avvio di un percorso di consulenza oncogenetica. In altri casi, il Molecular Tumor Board ha suggerito di modificare la terapia standard originariamente scelta, in presenza di alterazioni genomiche di resistenza alla terapia definita dall’oncologo curante".

"La profilazione genomica estesa pertanto - rimarca Marchetti - è utile non solo per identificare un maggior numero di bersagli molecolari a cui associare una terapia specifica, ma anche per ottenere una conoscenza più ampia dei possibili meccanismi di resistenza, di fragilità familiare o di inefficacia della terapia standard per la presenza di modificazioni genomiche importanti".

"I risultati preliminari – continua Marchetti – dimostrano che un’ampia profilazione genomica all’interno di uno specifico Molecular Tumor Board, cioè un gruppo multidisciplinare, determina vantaggi significativi per quei pazienti con tumore metastatico che possono ricorrere a farmaci biologici o all’immunoterapia, indipendentemente dalla sede iniziale della neoplasia. La discussione multidisciplinare nell’ambito del Mtb è fondamentale per questi pazienti. Va proprio in questa direzione, cioè garantire sempre migliori opportunità di cura in un percorso 'controllato', il decreto ministeriale - osserva - per l’istituzione dei Mtb nelle Regioni e l’individuazione dei Centri specialistici per l’esecuzione dei test Ngs (Next generation sequencing), in attesa di approvazione da parte della Conferenza Stato Regioni. Uno straordinario strumento normativo per la crescita clinica e culturale di cui si è dotato il Paese".

“Nel modello istologico, che per decenni ha governato la ricerca in oncologia, le decisioni regolatorie e la pratica clinica - sottolinea Marchetti - il punto di partenza è rappresentato dalla localizzazione del tumore, a cui seguono l’esame istologico, l’identificazione di un bersaglio molecolare predittivo di risposta, la scelta del farmaco e la prescrizione al paziente, basandosi su robuste evidenze derivanti dagli studi clinici. L’approvazione di molecole con indicazione agnostica, cioè indipendente dal tessuto di origine della neoplasia, ha rappresentato un ulteriore progresso nella utilizzazione della profilazione genomica. Il passo successivo della ricerca è rivolto allo studio di un nuovo modello, definito mutazionale".

"Il punto chiave del nuovo processo è rappresentato proprio dalla profilazione genomica - prosegue - cioè dall’individuazione delle mutazioni che giocano un ruolo fondamentale nello sviluppo delle neoplasie. Da qui deriva la scelta del farmaco e l’indicazione terapeutica, indipendentemente dalla sede del tumore. Questo modello, a differenza dei due precedenti, non è basato su studi clinici che hanno già dimostrato l’efficacia di un determinato trattamento in presenza di una specifica mutazione genomica, ma è rivolto a valutare, in un complesso percorso di studio, quanto la discussione in un Mtb dei dati derivati dalla profilazione estesa può aiutare il singolo paziente (e non un gruppo di pazienti) che presentano una certa mutazione. Il ‘Rome Trial’ si colloca all’interno del modello mutazionale. Mentre in letteratura viene stimato che circa il 35% dei pazienti presenta una mutazione che teoricamente può essere il presupposto per l’impiego di una specifica terapia a bersaglio molecolare, nel ‘Rome Trial’ questa percentuale è inferiore, pari al 28%, proprio perché abbiamo compreso che alcuni pazienti, pur presentando un possibile bersaglio molecolare, sono caratterizzati da alterazioni aggiuntive che rendono del tutto improbabile la risposta a una terapia mirata sul bersaglio molecolare”.

22/03/2023

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