Tumore al seno metastatico: le conquiste delle nuove terapie
Intervista a Matteo Lambertini, Professore associato presso l’Università di Genova e oncologo medico all’Ospedale Policlinico San Martino di Genova
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Intervista a Matteo Lambertini, Professore associato presso l’Università di Genova e oncologo medico all’Ospedale Policlinico San Martino di Genova
I dati relativi ad un recente studio hanno mostrato la più alta sopravvivenza globale mediana mai raggiunta in un trial clinico nelle pazienti con tumore al seno metastatico recettori ormonali positivi/HER2 negativo HR+/HER2−. Un traguardo molto importante, ottenuto grazie ai significativi progressi terapeutici in questo ambito.
Come sottolinea Matteo Lambertini, Professore associato presso l’Università di Genova e oncologo medico all’Ospedale Policlinico San Martino di Genova, “negli ultimi anni abbiamo avuto degli avanzamenti importantissimi nella cura del tumore alla mammella metastatico che, pur rimanendo ancora oggi nella maggior parte dei casi una malattia non guaribile, riusciamo a cronicizzarla per un tempo sempre più lungo”. Le nuove terapie disponibili permettono infatti di tenere sotto controllo la patologia per periodi molto più lunghi rispetto a qualche anno fa e rappresentano una vera e propria rivoluzione della prognosi di queste pazienti.
Lambertini chiarisce la questione riportando che la sopravvivenza mediana dopo la diagnosi di tumore al seno è passata da circa 50 mesi a oltre 60 mesi, quindi a più di 5 anni: traguardo mai raggiunto all’interno di trial clinici. Riuscire a spostare sempre più in avanti la sopravvivenza mediana è una chiara indicazione dell'efficacia delle terapie, che sono riuscite a offrire circa 1 anno in più di vita alle pazienti.
L’evoluzione del processo di cura riguarda i casi di tumore al seno avanzato, quindi con metastasi già diffuse in altri organi, che appartengono al sottogruppo HR+/HER2−. Per le pazienti affette da questo tipo di tumore “abbiamo a disposizione una nuova classe di farmaci - spiega Lambertini - che si chiamano CDK4/6 inibitori, le cosiddette target therapy, che in associazione alla terapie anti ormonale ne potenziano l’effetto permettendo un miglior controllo di malattia”.
I risultati di questi trattamenti sono chiaramente visibili non solo dagli studi ma anche direttamente nella pratica clinica e si concretizzano in notevoli miglioramenti in termini di controllo della malattia rispetto alla sola terapia anti ormonale. Per questo motivo, secondo Lambertini, la terapia combinata deve oggi essere il trattamento standard per tutte le pazienti con tumore metastatico HR+/HER2−.
Per quanto riguarda i criteri di selezione delle pazienti che possono beneficiare di questa innovativa terapia, si tratta di avere un tumore al seno metastatico di tipo HR+/HER2−. Il trattamento, infatti, è indicato in tutte le pazienti affette da una malattia con queste caratteristiche, anche alle più anziane che non presentino chiare controindicazioni all’utilizzo di queste terapie oppure con manifestazioni meno aggressive della malattia. Considerando che il sottotipo in questione è il più frequente e copre circa il 60/70% del totale dei tumori al seno, la platea di donne che soddisfano i requisiti per accedere alla terapia combinata e ai suoi vantaggi è molto ampia.
Un aspetto importante da considerare è che “quando si aggiunge un farmaco si aggiungono anche effetti collaterali; questo aspetto è importantissimo da discutere con le nostre pazienti - specifica Lambertini - ma nella maggior parte dei casi, anche con pazienti che hanno altre comorbidità, che fanno altri trattamenti farmacologici, non ci sono problematiche significative”.
Gli effetti collaterali possono variare a seconda della molecola utilizzata; fra le conseguenze comuni alle varie molecole rientra la neutropenia, ovvero un abbassamento delle difese immunitarie, che però si manifesta in maniera molto meno pericolosa rispetto a quanto avviene con la chemioterapia. Possono anche verificarsi astenia, cioè stanchezza, e nausea. Va sottolineato che i nuovi trattamenti provocano generalmente effetti gestibili e di conseguenza “con un corretto monitoraggio clinico delle pazienti - chiarisce Lambertini - sono dei farmaci che non dovrebbero alterare la qualità di vita”.
Resta comunque molto importante che la paziente comunichi all'oncologo l’insorgenza di eventuali problematiche, in modo da intervenire rapidamente con un adattamento della terapia, inclusa la possibilità di ridurre il dosaggio dei farmaci, azione che nella maggior parte dei casi si dimostra efficace ad assicurare una buona tollerabilità della terapia.
31/08/2022
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