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Oggi, per la diagnosi di tumore al seno, disponiamo di tecniche diverse, tra cui avanzati test genomici, che consentono di personalizzare la terapia e di migliorare la qualità di vita delle pazienti. Vediamo di capire come si struttura il percorso diagnostico e, nello specifico, come funzionano e quali vantaggi comportano i test genomici.

Come si effettua la diagnosi di tumore al seno

La diagnosi di tumore al seno può avvenire principalmente in due modi:

  • grazie a un esame di screening o di controllo,
  • a seguito della comparsa di segni o sintomi sospetti, solitamente di auto-riscontro, che portano ad eseguire degli accertamenti.

Nel primo caso, si tratta di donne asintomatiche che si sottopongono allo screening mammografico o a un controllo, in assenza di un sospetto specifico. Per quanto riguarda il programma di screening, le pazienti nella fascia di età solitamente compresa tra i 50 e i 69 anni (in alcune regioni, come la Lombardia, la fascia di età coinvolta è ancora più ampia) sono convocate dalla regione di appartenenza per sottoporsi a una mammografia ogni 2 anni, che permette di diagnosticare il tumore spesso in uno stadio precoce, quando i trattamenti medici e chirurgici hanno maggiori probabilità di efficacia e quindi di guarigione definitiva. È grazie alla diffusione dei programmi di screening su vasta scala e all’impiego di terapie sempre più efficaci che la mortalità correlata al tumore al seno è in costante calo ormai da molti anni.

Nel secondo caso, invece, la donna giunge all’attenzione del medico perché ha notato qualcosa di anomalo a livello del seno. Il sintomo più tipico è il riscontro autopalpatorio di un nodulo mammario, solitamente non dolente, che presenta una consistenza diversa rispetto al tessuto mammario circostante. Altri segni sospetti possono essere la “distorsione parenchimale” (la presenza del nodulo altera la forma della ghiandola mammaria o del capezzolo), la perdita di secrezioni siero-ematiche dal capezzolo, la presenza di alterazioni cutanee come la pelle buccia d’arancia o il riscontro di linfonodi ascellari ingrossati e di consistenza aumentata.

In entrambi i casi, qualora la mammografia mostri o confermi un sospetto, seguiranno accertamenti diagnostici quali l’ecografia mammaria e, quando necessario, la risonanza magnetica mammaria, la visita senologica e infine l’agobiopsia mammaria che, attraverso il prelievo di un campione di tessuto per l’esame istologico, permette di giungere alla diagnosi definitiva e, se questa è confermata, di valutare le caratteristiche biologiche della malattia per un’adeguata definizione del successivo iter terapeutico.

Test genomici: cosa sono e a cosa servono

I test genomici sono degli strumenti diagnostici che permettono di caratterizzare la biologia del tumore della mammella in maniera più accurata di quanto si possa fare con le valutazioni anatomopatologiche convenzionali, consentendo di definire con maggiore precisione il rischio di recidiva (la prognosi) e l’eventuale necessità di alcuni trattamenti quali la chemioterapia. Queste procedure sono quindi in grado di fornire all’oncologo le informazioni necessarie per definire una proposta terapeutica personalizzata, sulla base delle caratteristiche individuali della malattia.

Tecnicamente, il termine “test genomico” è improprio, anche se comunemente usato, e sarebbe più corretto parlare di “test di espressione genica” o “test trascrittomici” perché questi test non fanno un’analisi del DNA tumorale (genoma), bensì una valutazione del livello di espressione dell’mRNA (trascrittoma) di alcuni geni specifici. Tale analisi viene normalmente eseguita sul campione di tessuto tumorale prelevato alla paziente durante l’intervento chirurgico, quindi senza alcuna necessità di eseguire ulteriori procedure invasive.

L’uso di questi test consente di identificare con precisione quali sono le donne che dopo la chirurgia possono essere trattate ottimamente con la sola terapia ormonale (endocrino-terapia) e quelle che invece necessitano dell’aggiunta della chemioterapia, perché possono trarre da questa un beneficio aggiuntivo in termini di riduzione del rischio di recidiva. Pertanto, l’uso di questi test consente di evitare il trattamento chemioterapico, e i suoi effetti collaterali, alle donne che non ne trarrebbero un beneficio significativo.

Qual è la popolazione target per i test genomici

Questi test non si usano in tutti i tipi di neoplasia della mammella, ma soltanto nei tumori che esprimono i recettori per l’estrogeno o il progesterone, e che sono negativi per una proteina chiamata HER2 (tumori ER+/HER2-). Questo sottogruppo rappresenta da solo circa il 65%-70% di tutti i tumori al seno, che in Italia sono circa 55.000 ogni anno. Comunque, non tutte queste pazienti sono candidate ad eseguire un test genomico. Ad esempio, quando le caratteristiche clinico-patologiche standard (dimensioni del tumore, stato dei linfonodi, e caratteristiche biologiche valutate dal patologo) sono molto rassicuranti e consentano già di escludere l’utilità di una chemioterapia, oppure quando il tumore presenta fattori di rischio tali da non porre dubbi all’oncologo sull’utilità dell’aggiunta della chemioterapia stessa, i test non vengono richiesti. Tra questi due estremi, vi sono le pazienti per le quali i test genomici entrano in gioco, cioè quelle per le quali vi è incertezza relativamente al beneficio della chemioterapia, o quelle per le quali i fattori clinico-patologici standard raccomanderebbero una chemioterapia ma l’impiego dei test genomici consentirebbe di evitarla in una larga proporzione di esse.

Complessivamente, i test genomici sono degli strumenti moderni ed estremamente utili, che permettono di applicare alle donne con diagnosi di tumore al seno operate in fase precoce il concetto di “medicina di precisione”, cioè di dare il farmaco giusto, al paziente giusto, nel momento giusto. Tali test sono comunque degli strumenti che si affiancano, e non rimpiazzano, i fattori anatomo-patologici standard e che necessitano sempre di una interpretazione fine e ragionata da parte dell’oncologo atta a definire la miglior proposta terapeutica. Pertanto, questi test non possono sostituirsi all’esperienza del clinico che, nelle sue scelte, deve tener conto di tutti i fattori disponibili, incluse le caratteristiche della singola paziente e i suoi desideri.

24/06/2022

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