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La Trombocitemia essenziale è una malattia cronica che colpisce il midollo osseo, il tessuto che si trova all'interno delle ossa e da cui parte la produzione delle cellule del sangue. Le cause non sono ancora note, ma grazie alla ricerca scientifica è stato possibile individuare tre alterazioni del DNA presenti nell'80-90% delle persone affette da questo tumore del sangue. La più comune è una mutazione del gene JAK2 coinvolto nella produzione delle cellule del sangue. La presenza di queste mutazioni non è sufficiente per formulare la diagnosi di trombocitemia essenziale, perché possono essere riscontrate anche in pazienti colpiti dalle altre neoplasie mieloproliferative croniche, ma la loro presenza permette di escludere le forme secondarie di trombocitemia e di comprendere meglio il rischio di trombosi e di progressione della patologia. Trombocitemia essenziale, mielofibrosi primaria e policitemia vera rientrano nel gruppo delle neoplasie mieloproliferative croniche.

Una malattia dai sintomi non specifici

Disturbi legati alla circolazione dei piccoli vasi sanguigni, come formicolii, prurito e cambiamenti nella sensibilità di piedi e mani, fischi e ronzii nelle orecchie, lampi e visione offuscata, vertigini e mal di testa sono i sintomi più frequenti della trombocitemia essenziale, che però nel 50% dei casi viene scoperta casualmente, senza che si sia manifestato alcun sintomo, eseguendo analisi del sangue per altri motivi. Un sintomo non frequente, ma specifico, è il senso di bruciore ai palmi delle mani e alle piante dei piedi, accompagnato da arrossamento e calore della pelle (un disturbo chiamato eritromelalgia). Alcuni dei sintomi, in realtà, sono comuni anche alle altre neoplasie mieloproliferative.

In alcuni casi possono verificarsi anche perdite di sangue dal naso, dalle gengive o nel tratto gastrointestinale: una conseguenza dell'aumento eccessivo di piastrine nel sangue. Nelle persone colpite da trombocitemia essenziale si verifica, infatti, un aumento delle piastrine, le cellule che permettono la coagulazione del sangue, necessarie per fermare il sanguinamento in caso di traumi o ferite. Quando sono in eccesso, però, possono causare la formazione di trombi (cioè coaguli) nei vasi sanguigni, con conseguente rischio di ostruzioni. Le piastrine sono anche conosciute come trombociti, da cui deriva il nome della malattia, mentre l'aggettivo “essenziale” sta a significare che si tratta di un problema primitivo e non di una conseguenza di altre cause, per esempio altre malattie o infezioni.

L'andamento della trombocitemia essenziale

Dalla trombocitemia essenziale non si guarisce, la sopravvivenza nei 20 anni successivi alla diagnosi è la stessa della popolazione generale con la medesima età, ma diminuisce dopo questo periodo.[1] Ci sono casi in cui la malattia progredisce verso una mielofibrosi secondaria (circa il 10% dei casi dopo i 15-20 anni dalla diagnosi), mentre molto raramente può evolvere in leucemia acuta (in media il 3% dei casi nei 15 anni dopo la diagnosi) o in mielodisplasia, una patologia caratterizzata da vari gradi di riduzione e/o di alterazione della produzione di cellule del sangue. La maggior parte dei pazienti scopre di avere la malattia intorno ai 60 anni, ma il 20% dei pazienti ha meno di 41 anni.

Le alterazioni genetiche

Nella quasi totalità dei casi di trombocitemia essenziale sono presenti tre specifiche alterazioni del DNA. Nel 50-60% dei pazienti è presente una mutazione del gene JAK2, che permette la produzione della proteina omonima, importante per il controllo della produzione delle cellule del sangue. Una particolare alterazione del gene JAK2, indicata con la sigla V617F, risulta infatti associata a una loro proliferazione incontrollata. La scoperta della mutazione, avvenuta nel 2005, ha permesso di sviluppare nuove cure che interagiscono specificatamente con il meccanismo alterato, gli inibitori di JAK2.

Il 20-30% dei pazienti ha invece una mutazione del gene CALR, che porta le informazioni per la sintesi della proteina calreticolina, di cui però ancora non si conosce il ruolo preciso nello sviluppo della malattia. Molto meno frequente (circa 3 casi su 100) è invece la mutazione del gene MPL, coinvolta nella produzione di un’altra proteina, il recettore della trombopoietina, importante nella regolazione della crescita dei megacariociti e, di conseguenza, della produzione di piastrine. Nel 10-20% dei casi, infine, i pazienti non presentano alcuna di queste mutazioni e quindi si definiscono “triplo negativi”.

Si tratta di alterazioni che si possono verificare nel corso della vita e solo in rari casi i figli le possono ereditare dai genitori. Conoscere lo stato delle mutazioni consente di escludere che si tratti di una forma secondaria di trombocitemia e di capire meglio il rischio di trombosi e di progressione della patologia.

24/05/2022

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