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A molte persone, la pandemia ha reso difficile ottenere la giusta assistenza medica: ad esempio, ai pazienti affetti da malattie ematologiche, che hanno visto improvvisamente minacciata la continuità terapeutica con pesanti conseguenze per la propria salute. Proprio nel periodo maggiormente critico di circolazione di Covid-19 è nato un progetto a Roma che ha permesso di sperimentare un nuovo modello di assistenza domiciliare e un nuovo modo di concepire le cure.

Il progetto: continuità terapeutica in pandemia

L’iniziativa è partita grazie alla collaborazione fra il Policlinico Umberto I e la sezione locale di Ail, Associazione Italiana contro Leucemie, Linfomi e Mieloma, e ha consentito di trattare in due anni più di 200 pazienti all’interno di un programma di cure integrate ospedaliere e domiciliari.

Il progetto aveva l’obiettivo di assicurare la continuità delle terapie e una buona qualità di vita ai pazienti ematologici, garantendo una vera e propria attività di cura, in maniera diversa da come veniva precedentemente concepita l’assistenza domiciliare. Nel periodo più complesso della pandemia, infatti, ai pazienti in molti casi non era permesso l’accesso in ospedale perché avrebbe comportato forti rischi di contagio, elemento particolarmente pericoloso in soggetti già fragili per una patologia ematologica. La casa è quindi stata trasformata in luogo di cura, che non sostituisce la struttura ospedaliera ma che è in grado di ottimizzare tempi e spostamenti, andando incontro alle esigenze dei pazienti.

Il servizio di cure domiciliari, in continuo contatto con il centro ematologico di riferimento, assicura un insieme di prestazioni che comprendono visite mediche, somministrazione di emotrasfusioni, farmaci antibiotici, antiemorragici, antidolorifici e, in alcuni casi, anche di farmaci antitumorali. A tutto ciò si aggiungono le attività infermieristiche, con visite ed esecuzione di prelievi ematici, e il supporto psicologico e sociale, di fondamentale importanza per aiutare sia i pazienti che i familiari ad alleviare le difficoltà determinate da malattia e trattamenti, evitando fenomeni di isolamento sociale e il relativo impatto negativo sul decorso terapeutico.

Un nuovo modello anche dopo l’emergenza

Questo modello di assistenza si è rivelato molto utile in piena fase emergenziale ma non solo, perché ha aperto la strada a una diversa gestione sia dell’assistenza domiciliare che delle terapie stesse. Ad esempio, l’iniziativa ha messo in luce la necessità di un utilizzo più attento dei posti letto in ospedale e dei benefici che provengono dall’integrazione sul territorio fra assistenza domiciliare e ospedaliera, all’insegna di una più efficace continuità delle cure.

Una medicina che diventa sempre più a servizio dei pazienti, anche al di fuori dall’ospedale, e che implica investimenti specifici all’interno del Sistema Sanitario Nazionale per favorire la gestione di prestazioni non emergenziali all’interno delle mura domestiche, migliorando sia l’organizzazione interna delle strutture sanitarie che la qualità di vita di pazienti e familiari.

Cure domiciliari e ospedaliere: il confronto

Uno studio pubblicato sul Journal of Palliative Medicine, a cui ha collaborato Claudio Cartoni, Responsabile Unità Cure Palliative e Domiciliari (UCPD) e uno degli ideatori del progetto di continuità assistenziale, ha confrontato costi, utilizzo delle risorse ed esiti clinici tra un programma di cure domiciliari palliative precoci e l'assistenza ospedaliera standard per pazienti con neoplasie ematologiche in fase attiva/avanzata o terminale.

Ne è emerso che le persone curate a casa erano più debilitate e avevano una sopravvivenza più breve rispetto al gruppo ospedaliero (2,7 contro 8,4 mesi), ma la proporzione di pazienti in fase terminale era maggiore in quelli domiciliari. Per quanto riguarda i sintomi, invece, la situazione era simile fra le due categorie, mentre il numero medio settimanale di trasfusioni era inferiore a domicilio rispetto che in ospedale (1,44 contro 2,77), come quello di infezioni (21% contro 54%).

In ambito di costi, quello medio settimanale per il ricovero ospedaliero era decisamente più elevato, con un rapporto 3:1 rispetto all'assistenza domiciliare, che secondo i ricercatori consente un risparmio per il SSN di oltre 2.300 euro a settimana.

05/04/2023

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