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Negli anni è aumentata la considerazione attribuita al tipo di comunicazione che si instaura tra medico e paziente oncologico, ovvero le modalità di dialogo adottate durante il percorso diagnostico e terapeutico. Soprattutto quando si tratta di affrontare momenti difficili, come una prima diagnosi di tumore o una recidiva, l’approccio del medico ha un forte impatto sul benessere del paziente, sulla sua capacità di reazione e di portare avanti con costanza le terapie. Vediamo quindi di capire quali siano a livello pratico gli elementi fondamentali della comunicazione per un oncologo.

Il primo incontro con l’oncologo: il ruolo del “noi”

Un primo fattore importante è l’estensione del coinvolgimento da parte del medico al nucleo familiare o a chi sta a fianco del malato e lo supporta nell’affrontare le cure. Come evidenzia Maurizio Cantore, Oncologo presso ASST di Mantova, il tumore è “una malattia sociale, una malattia che si espande alla famiglia, al caregiver”; il dialogo, quindi, non è solo con il paziente ma ha l’obiettivo di raggiungere più persone per esse-re veramente efficace. Parlare con diversi soggetti contemporanemente determina, però, anche maggiori difficoltà, perché ci si trova spesso davanti a differenti livelli di cultura e di comprensione; per questo motivo, durante l’incontro iniziale “ i primi 3 minuti devono essere giocati – secondo Cantore - nell’ascoltare e nel percepire qual è la strada di accesso alla comunicazione migliore, perché ogni comunicazione è diversa dall’altra”.

Per iniziare a impostare una relazione proficua, l'oncologo, già dal primo incontro col paziente, non deve puntare a illustrare in maniera puntuale tutte le tappe della terapia, ma concentrarsi a trasmettere un messaggio fondamentale, che per Cantore è: “non saremo mai soli”. Questa espressione è un chiaro indizio della modalità con cui va gestita tutta la comunicazione con il paziente e con i suoi familiari, che Cantore chiarisce attraverso la considerazione che “l’accoglienza iniziale parte dalla prima persona plurale” e dal mostrarsi non solo come oncologo, ma come persona capace di provare emozioni e di partecipare attivamente al percorso del paziente.

L’utilizzo dei tempi verbali

Un altro aspetto che Cantore evidenzia riguarda il fatto che “chi ha una diagnosi di tumore metastatico immediatamente cerca di rimuovere lo sguardo verso il futuro. E come lo rimuove? Non declinando più i tempi al futuro” e rifugiandosi nel tempo passato, visto come uno spazio più rassicurante rispetto anche al presente che lo mette davanti a una difficile diagnosi e alla fatica delle terapie. L’oncologo deve quindi impegnarsi ad aprire “una finestra verso il futuro”, servendosi il più possibile proprio di questo tempo verbale.

Le difficoltà del paziente e i bisogni da legittimare

Il bisogno più diffuso e sentito da parte dei pazienti, come fa notare Chiara Iridile, psicologa e psicoterapeuta presso l’ASST di Mantova, è l’ascolto; una delle difficoltà più frequentemente riscontrate è la sua mancanza e la percezione che da parte del medico ci sia troppa fretta.

Inoltre, è importante evitare l’utilizzo di un linguaggio eccessivamente tecnico, che può allontanare e spaventare, mentre è più utile “incoraggiare i pazienti e i loro familiari - sostiene Iridile - a parlare anche di tutte quelle tematiche correlate alla malattia, perché se io mi sento riconosciuta e ascoltata non solo nella mia malattia ma come persona, forse sono anche facilitata a non omettere alcuni dettagli che anche nella pratica clinica di un oncologo possono essere preziosi”.

Attraverso una modalità di comunicazione più attenta e allargata ci si può prendere cura non soltanto della malattia in sé ma anche di tanti altri aspetti essenziali, come la qualità di vita e le relazioni interpersonali. Molte pazienti fanno fatica ad affrontare “alcuni temi che riconoscono come sbilanciati - evidenzia Iridile - come la perdita dei capelli o la sessualità, di cui non si parla tantissimo negli ambulatori” e che invece devono essere considerati pienamente legittimi, al pari di questioni prettamente legate alle terapie.

Comunicare la cronicizzazione del tumore

Nel quadro degli attuali progressi terapeutici in ambito oncologico, che comprendono anche tumori in stadio metastatico, l’oncologo deve essere in grado di comunicare in maniera efficace un cambiamento di prospettiva estremamente positivo che si scontra però con quanto il paziente sa o crede di sapere. Bisogna far capire che “molte malattie, fra cui la malattia metastatica mammaria - afferma Cantore - non guariscono ma si passa da una fase di non guarigione a una fase di cronicizzazione”.

Anche il tumore, infatti, “merita un trattamento cronico” così come accade con tante altre patologie comuni, come l’ipertensione. La malattia resta, ma viene affrontata con trattamenti personalizzati che riescono ad allungare il tempo a disposizione ma anche a offrire la migliore qualità di vita possibile. E una buona comunicazione deve puntare a trasmettere anche questo nuovo, incoraggiante messaggio.

14/11/2022

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