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Siamo abituati a pensare al caregiver come al familiare che accudisce il disabile o l’anziano con demenza o malattia terminale. Ma in realtà questa figura è presente anche accanto al paziente che ha ricevuto una diagnosi di cancro, che vive una fragilità particolare anche in giovane età, come accade nel caso del melanoma.

Il caregiver “essenzialmente è una persona che non lascia solo il malato, che vuole prendersi cura di lui non solo sotto l’aspetto medico, ma umano e psicologico”, dice Gianluca Pistore che, vissuta l’esperienza in prima persona con suo padre, ha fondato e ora presiede l'Associazione MelanomaDay. Di fronte a una diagnosi oncologica “il malato inizia a porsi domande sulla vita, sull’esistenza – continua Pistore – e, davanti alla malattia, diventiamo diversamente consapevoli della morte. Davanti a questo scossone non abbiamo solo la risposta del farmaco e delle competenze, ma abbiamo bisogno di qualcuno che ci abbracci, che stia con noi”. Il caregiver quindi “aiuta ad aderire alla terapia, tiene i contatti con i medici e organizza le visite, ma soprattutto sta vicino a chi ha una diagnosi grave”. Spesso “non ci si sente adeguati – osserva il fondatore di MelanomaDay - Una cosa importantissima da ricordare è che il ruolo del caregiver è di dare un abbraccio, abbracciare la situazione, esserci”.

Il caregiver tra medico e paziente

Il familiare o la persona che si prende cura del paziente con patologia oncologica “ha un ruolo fondamentale non solo per accompagnare il paziente alle visite, ma anche nella quotidianità, in casa, nell’accudimento, nell’assunzione delle terapie e nel sostegno psicologico”, spiega Roberta Depenni, dirigente medico per il melanoma e i tumori cutanei all’UO di Oncologia nel Policlinico di Modena.

La presenza del caregiver è importante a ogni età, anche se il paziente è giovane - come accade per esempio nel caso del melanoma - perché c’è una condizione di fragilità dovuta alla malattia.
Anche solo per avere informazioni sugli effetti della terapia, “le visite sono diverse quando il paziente viene da solo rispetto a quando c’è anche il caregiver, – continua Depenni - se chiedo al paziente come è andata nell’ultimo mese, mi può rispondere che non ha avuto grossi problemi. Ma se c’è il caregiver – aggiunge – può segnalare sintomi, come la diarrea o il disorientamento, che il paziente sottovaluta o può non riportare in maniera precisa”. Va da sé quindi l’importanza del caregiver non solo come supporto psicologico e affettivo, ma anche per la corretta assunzione della terapia. Il paziente che ha una persona in aiuto “ha una maggiore compliance alla terapia, come ad esempio quella orale prevista per il melanoma. Rispetto a chi è da solo, non dimentica di prendere all’orario preciso la terapia con le modalità richieste” osserva l’oncologa. Anche sulla qualità della vita ci sono dei risvolti importanti dovuti anche ad aspetti che si danno per scontati, come il supporto nutrizionale che è più facilmente carente in chi vive solo.

Caregiver e paziente con terapia adiuvante del melanoma

Dopo l’intervento chirurgico con cui si asporta il melanoma - un tumore della pelle frequente soprattutto in giovane età - è prevista una terapia orale che riduce il rischio di recidive  e che potrebbe guarire il paziente. È infatti disponibile un test che identifica la presenza della mutazione del gene BRAF e che permette di accedere a una terapia mirata (target therapy) non solo in caso di melanoma metastatico (stadio IV) ma anche in  stadio III (terapia adiuvante). “Oggi abbiamo percorsi di cura con team multidisciplinari – racconta Depenni -. Il chirurgo, quando interviene in uno stadio ad alto rischio o c’è un linfonodo positivo, chiede la consulenza oncologica”.
Oggi la terapia adiuvante”, da fare dopo l’intervento chirurgico e in caso di positività del linfonodo sentinella, è orale e può essere assunta a casa. “Generalmente – precisa la dottoressa - c’è un interesse da parte del paziente a fare la terapia, ma è spaventato per gli eventi avversi e chiede informazioni sulla qualità della vita. Il caregiver, con mente più lucida, come mediatore, aiuta a spiegare al paziente alcuni concetti”.

Il medico “deve avere un rapporto con il paziente, ma nel caregiver ha un alleato - sottolinea Pistore -. Il caregiver però va formato. Una persona malata ha una serie di domande che riguardano eventuali effetti collaterali delle terapie, la progressione della malattia o altri argomenti che non riguardano la malattia oncologica. Il caregiver - aggiunge - deve sapere quando contattare con urgenza il medico o quando stare tranquillo. Su questo deve essere formato. Come associazione cerchiamo di informare tutti, sia per prevenzione che per sostegno e riferimento anche per chi è vicino al malato”.

Il caregiver nel follow up del paziente con melanoma

Una delle principali preoccupazioni del paziente è la recidiva, “vuole sapere la percentuale del rischio che si ripresenti la malattia e, soprattutto quando è giovane, di quanto si riduce il rischio con la terapia”, spiega Depenni. Il familiare diventa fondamentale anche per l’aspetto strettamente clinico, per ricordare quando prendere le medicine e quando fare i controlli medici: tutte condizioni che aiutano il successo terapeutico.
“Il caregiver è molto importante per ricordare al paziente il follow up – sottolinea l’oncologa -. Il paziente con melanoma deve fare dei controlli e non deve sfuggire al follow up oncologico e dermatologico, fondamentali per intercettare una recidiva precoce, cioè nel tempo in cui si può agire”. Spesso il paziente, dal punto di vista psicologico, per paura di brutte notizie, eviterebbe i controlli, mentre il caregiver aiuta a mantenere la tabella di marcia.
“Il caregiver deve affrontare due questioni – racconta Pistore -. Una è con sé stesso, perché ha bisogno di alcuni momenti per ricaricarsi: nell’abbraccio, c’è una grande cessione di energia”. L’altra questione riguarda la difficoltà che il caregiver trova nell’alleviare il percorso del malato. “Abbiamo un Paese che garantisce cure eccezionali gratuite – precisa -, ma l’accesso è ingolfato per il contatto con i medici, per fissare tac, pet, ecografia, senza pensare ai problemi logistici”.

Chi ha una malattia oncologica deve affrontare un percorso complesso e avere vicino persone che gli vogliono bene. “Non amo la narrazione del guerriero perché è sbagliata anche dal punto di vista scientifico – continua il presidente di Melanoma Day -. Alcune persone vanno in progressione di malattia: non muoiono per poca forza di lottare. Si deve comprendere che bisogna avere la forza di seguire il percorso terapeutico. A questo serve l’abbraccio. È un po’ – conclude - come diceva don Tonino Bello sul fatto che gli uomini sono angeli con un’ala soltanto: hanno bisogno di tenersi abbracciati per poter volare”.

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