Leucemia mieloide cronica: gravidanza e fertilità
Intervista a Elisabetta Abruzzese, ematologa dell’Ospedale Sant’Eugenio di Roma, responsabile dello studio italiano promosso dal Gimema, Gruppo italiano malattie ematologiche dell’adulto
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Intervista a Elisabetta Abruzzese, ematologa dell’Ospedale Sant’Eugenio di Roma, responsabile dello studio italiano promosso dal Gimema, Gruppo italiano malattie ematologiche dell’adulto
Una diagnosi di Leucemia mieloide cronica (LMC) non compromette la fertilità e la possibilità di avere figli. L’avvento, negli ultimi decenni, di terapie mirate, come gli inibitori della tirosin chinasi, ha cambiato radicalmente il trattamento e la prognosi della malattia, al punto che uomini e donne che stanno assumendo questi farmaci, oltre ad avere una buona qualità della vita, possono anche realizzare il desiderio di diventare genitori. Lo dimostrano i dati di recenti studi, con i ricercatori italiani leader a livello europeo e mondiale per questo argomento.
“In una decina di anni, perfino nelle donne che hanno scoperto la malattia durante la gestazione - la situazione più complessa da gestire - è raddoppiata la percentuale di quelle che hanno portano a termine la gravidanza”, afferma Elisabetta Abruzzese, ematologa dell’Ospedale Sant’Eugenio di Roma, responsabile dello studio italiano promosso dal Gimema, Gruppo italiano malattie ematologiche dell’adulto, a cui afferiscono le maggiori ematologie italiane, e dello studio internazionale promosso dall'European Leukemia Net.
“La Leucemia mieloide cronica - spiega la specialista - è una patologia ematologica in cui è coinvolta una cellula staminale midollare che ha un errore al livello genetico, nel nucleo della cellula, che comporta lo spostamento di un gene che controlla la proliferazione cellulare. Nel caso specifico della LMC si viene a creare un cromosoma anomalo, il cromosoma Philadelphia, dovuto alla traslocazione tra il cromosoma 9 e il 22, che forma il gene ibrido Bcr-Abl, con spostamento ed attivazione del gene Abl responsabile della proliferazione delle cellule leucemiche. L’alterazione genetica - continua Abruzzese - comporta la formazione di una proteina chinasi che attiva la produzione delle cellule che derivano da questa cellula madre e che fa proliferare il tumore”.
Dal 2001 sono entrati in commercio dei farmaci mirati, gli inibitori delle tirosino chinasi, che bloccano l’attivazione di questa proteina e riportano il midollo in una situazione di normalità. “Prima di queste terapie - ricorda l’ematologa - i farmaci disponibili tenevano sotto controllo la proliferazione del tumore, ma non curavano la patologia all’origine. Prima del 2000 la sopravvivenza era di 48 mesi, ora i pazienti, quando rispondono in maniera ottimale alle terapia - che avviene in più del 90% dei casi - hanno una aspettativa di vita paragonabile alla popolazione di pari età non malata e quindi diventa lecito pensare anche ad avere dei figli”.
La Leucemia mieloide cronica colpisce in modo abbastanza simile nei due sessi. “Il rapporto maschi-femmine è di 1,5 a 1- sottolinea Abruzzese - mentre l’incidenza di nuovi casi è di circa 3 ogni 100mila abitanti. L’età media della diagnosi è intorno ai 60 anni, ma più del 45% dei casi interessa persone in età fertile che devono assumere la terapia in modo continuativo, essendo una patologia cronica. Questi farmaci mirati sulla proteina chinasi - prosegue - non hanno effetti sulla fertilità di uomini e donne, ma possono averne sul bambino che cresce nel grembo materno, soprattutto quando si formano gli organi, perché interagiscono con varie proteine coinvolte nell’organogenesi”.
Nelle donne in trattamento per la LMC una gravidanza “può essere intrapresa in maniera consapevole e controllata - chiarisce l’ematologa - I primi dati sulle gravidanze di queste pazienti hanno mostrato che, se non interrompevano la terapia tra la settimana 5 e 12 di gestazione, avevano un rischio aumentato di malformazioni intorno al 10-20%: non poco, visto che nella popolazione generale è intorno al 3%”.
Studi a livello nazionale, “realizzati con il Gimema su oltre 200 uomini e donne in età fertile, e ricerche internazionali su 450 soggetti - ricorda Abruzzese - insieme ad altri studi non clinici, hanno permesso di pubblicare alcune raccomandazioni per la gestione delle gravidanze in pazienti con LMC”.
I dati mostrano che, sospendendo immediatamente l’assunzione del farmaco per i mesi della gravidanza e controllando l’andamento della patologia, è possibile arrivare al parto in modo sicuro, per poi riprendere la terapia. “La prima cosa da fare quando una donna in terapia per LMC scopre di essere incinta - ribadisce Abruzzese - è avvertire il medico che la segue, interrompere l’inibitore della tirosin chinarsi e poi eseguire i controlli ravvicinati. Gli esami di laboratorio sono in grado di identificare livelli molto bassi della proteina anomala e un follow up mensile permette di dire se la proteina sta risalendo rapidamente e, nel caso, impostare l’impiego di altri farmaci utili a controllare la malattia per i mesi di gravidanza”.
Altri studi sono in corso. “Stiamo pubblicando i dati su 90 pazienti - conclude Abruzzese - che si sono accorte di avere la leucemia mieloide cronica mentre erano in gravidanza: la situazione meno favorevole. Nella decade 2001-2011, alla maggior parte di queste donne era consigliata l’interruzione di gravidanza, mentre dal 2011 al 22 sono state portate a termine l’80% delle gravidanze contro il 40% delle gravidanze della decade precedente, e tutte con esito favorevole”.
05/06/2023
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