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La mielofibrosi è una neoplasia del sangue che si presenta con sintomi non specifici: è quindi spesso scoperta per caso, nel corso di analisi di routine. Esistono tuttavia dei campanelli d'allarme che, sebbene non caratteristici solo di questa malattia, possono indurre il medico a sospettare una patologia del midollo osseo. La mielofibrosi, infatti, colpisce le cellule che si trovano nel midollo osseo e che sono responsabili dello sviluppo delle cellule del sangue, globuli rossi, bianchi e piastrine. Il nome mielofibrosi deriva dal fatto che al microscopio il midollo osseo appare come un insieme intrecciato di fibre.

La malattia si dice primaria quando non insorge a seguito di altre patologie, secondaria quando invece è conseguenza di altre condizioni patologiche, come la policitemia vera o la trombocitemia essenziale. La mielofibrosi secondaria è caratterizzata dagli stessi sintomi della primaria. I sintomi che possono far sorgere il sospetto sono la fatigue, cioè una sensazione di stanchezza diffusa, la mancanza di appetito, dolori muscolari, dimagramento, febbre non molto alta, sudorazioni notturne e prurito, sensazione di gonfiore addominale dovuta all'aumento di grandezza della milza. Nessuno di questi da solo basta per formulare la diagnosi ma, insieme agli esami di laboratorio e al risultato della biopsia midollare, questi sintomi compongono il quadro della mielofibrosi.

Gli esami da eseguire

Per diagnosticare la mielofibrosi è necessario eseguire una serie di esami di laboratorio e la biopsia del midollo osseo. I valori da considerare sono l'emocromo, che controlla il numero di cellule del sangue e dà un'idea dello sviluppo della malattia, insieme allo striscio di sangue venoso periferico che permette di guardare le cellule al microscopio. Si aggiungono poi la valutazione dell'acido urico, la determinazione della lattato-deidrogenasi (LDH, un enzima prodotto in seguito alla distruzione delle cellule del sangue, i cui valori aumentano molto nel caso della mielofibrosi), ferritina, acido folico e vitamina B12. Si esegue poi una ecografia dell'addome completo e una radiografia dei polmoni per verificare l'eventuale ingrossamento della milza o del fegato. Infine, la biopsia osteomidollare, eseguita in anestesia locale, che consente di accertare la diagnosi di mielofibrosi primaria.

Analisi cromosomiche e molecolari

Alle analisi descritte fin qui si aggiungono anche dei test cromosomici e molecolari. Infatti, circa il 40% delle persone con mielofibrosi presenta cellule del sangue con cromosomi anomali. Tra le anomalie più frequenti si riscontra la perdita di parte del cromosoma 13 e del cromosoma 20. L’analisi molecolare ricerca invece le mutazioni genetiche nelle cellule non sane. La più importante per la diagnosi è la mutazione V617F del gene JAK2; in caso di negatività si ricercano le mutazioni dei geni Calreticulina (CALR) e del recettore della trombopoietina (MPL). Si tratta di anomalie acquisite durante la vita, non sono ereditarie.

L'evoluzione della malattia

Il decorso della mielofibrosi è diverso da persona a persona. I sintomi possono apparire in diverso ordine e le condizioni di salute possono subire delle variazioni repentine. Al momento della diagnosi, e a ogni successivo controllo, grazie all'ausilio di specifiche scale, è possibile stabilire la gravità della malattia. Anche i pazienti possono tenere sotto controllo l'andamento della malattia grazie a uno strumento online facile da usare, l'MPN Tracker.

01/06/2022

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