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Oltre la metà di chi ha una condizione di rischio cardiovascolare “alto” o “molto alto” non controlla in modo adeguato l’ipercolesterolemia a causa di una non ottimale aderenza alla terapia, cioè una non corretta assunzione dei farmaci prescritti, in particolare le statine. Lo evidenzia una recente analisi retrospettiva condotta in Italia a partire da dati dalla vita reale (real-world) su persone con elevati livelli di colesterolo (indicato come LDL-C) e in trattamento farmacologico.

Nonostante le numerose evidenze e raccomandazioni da parte di società scientifiche di rilevanza internazionale che sottolineano l’importanza di un adeguato controllo dei livelli di colesterolo LDL (low-density lipoprotein), i risultati di questo studio mostrano che, nella reale pratica clinica italiana, tale obiettivo è disatteso, segno che i pazienti con dislipidemia non hanno una gestione ottimale.

L’ipercolesterolemia è una condizione che si caratterizza per elevati livelli di colesterolo LDL (LDL-C) nel sangue e rappresenta un importante fattore di rischio per lo sviluppo di malattie cardiovascolari. È stata infatti dimostrata una correlazione tra la riduzione dei livelli di LDL-C e la riduzione del rischio cardiovascolare. A tal proposito, le più recenti linee guida redatte dalla European Atherosclerosis Society e dalla European Society of Cardiology (EAS/ESC 2019) definiscono come obiettivo terapeutico il controllo dei livelli di colesterolo LDL con farmaci ipolipemizzanti. Tra questi, le statine sono state le prime impiegate in terapie e costituiscono, tutt’oggi, il trattamento di base per il controllo dei livelli di colesterolo LDL. Tuttavia, si evidenzia un’ampia variabilità nella risposta alla cura e le cui cause sarebbero dovute non solo alle caratteristiche individuali dei pazienti, ma anche a una scarsa aderenza alla terapia.

Lo studio recentemente concluso è un’analisi svolta da CliCon s.r.l. Health, Economics & Outcome Research in un contesto di reale pratica clinica italiana che valuta, non solo le caratteristiche dei pazienti, ma anche il loro percorso terapeutico, cioè l’assunzione (aderenza) della terapia.

L’analisi, osservazionale retrospettiva, è stata condotta su circa 6,5 milioni di assistiti in un campione di aziende sanitarie (ASL) rappresentativo del territorio italiano, integrando i flussi amministrativi con quelli del laboratorio analisi.

Sono stati considerati tutti i pazienti con una ipercolesterolemia (familiare e non familiare) che, nel periodo compreso tra il gennaio 2010 e giugno 2019, avessero fatto almeno una misurazione del colesterolo LDL (2,6% del campione) e con almeno una prescrizione di statine nei sei mesi precedenti l’ultima rilevazione.

I soggetti sono stati suddivisi in 5 gruppi (coorti), sulla base della familiarità della patologia e del livello di rischio cardiovascolare: pazienti con ipercolesterolemia familiare e non, suddivisi anche in base alla presenza di una malattia cardiovascolare o diabete. I partecipanti, in base a quanto definito dalle linee guida in vigore al momento della conduzione dell’analisi (EAS/ESC 2016), sono stati definiti “controllati” sulla base dei livelli di LDL-C : ≤70 mg/dL per i pazienti con malattie cardiovascolari (rischio molto alto); ≤100 mg/dL per i pazienti diabetici o con ipercolesterolemia familiare (rischio alto); ≤130 mg/dL per i pazienti con dislipidemia mista o in prevenzione primaria (rischio basso-moderato).

Lo studio ha quindi interessato 165 mila pazienti, di cui 164.161 presentavano un’ipercolesterolemia non familiare (età media 72 anni, 51% maschi) e 1.287 ipercolesterolemia familiare (età media 64 anni, 42% maschi).

I risultati mostrano che l’aderenza alla terapia (intesa come copertura terapeutica ≥80%) era complessivamente poco soddisfacente, dal momento che il 51,3% dei pazienti con ipercolesterolemia non familiare e il 56,2% dei pazienti con ipercolesterolemia familiare risultavano non aderenti. Tra questi ultimi, a 6 mesi di follow-up, la quota di aderenti alle statine era ulteriormente calata, rispettivamente a: 52,7%, 51,2%, 45,3% e 45,3% tra i pazienti con precedente storia di eventi cardiovascolari, diabetici, con dislipidemia mista e in prevenzione primaria.

Tra i 164.161 con ipercolesterolemia non familiare, dei 46.782 pazienti con pregresso evento cardiovascolare il 58,8% risultava con livelli non controllati di LDL, e tra i 34.803 diabetici, tale percentuale era del 26,4%. La quota aumentava considerando la popolazione affetta da ipercolesterolemia familiare (1.287 pazienti), dove il 60,8% aveva LDL non controllato.

Gli autori concludono che il monitoraggio del profilo lipidico dei pazienti ipercolesterolemici e l'identificazione di coloro con livelli di LDL-C non adeguatamente controllato rappresenta un aspetto cruciale nella pianificazione strategica sanitaria al fine di migliorare l’appropriatezza prescrittiva, l’aderenza terapeutica e di ottimizzare il beneficio clinico per ogni singolo paziente.

22/02/2023

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