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Ci sono specifici fattori che possono fare la differenza sia nella prevenzione che nella cura del melanoma cutaneo, uno dei tumori più aggressivi della pelle e tra i più diffusi nelle persone giovani, al di sotto dei 50 anni di età. “I principali fattori di rischio del melanoma sono fenotipici, in particolare il fototipo cutaneo chiaro. Ci sono poi fattori ambientali, come l’elevata esposizione ai raggi ultravioletti (UV), le conseguenti scottature - soprattutto da bambini - e l’esposizione eccessiva ai raggi ultravioletti artificiali - lampade e lettini abbronzanti - al di sotto dei 30 anni di età”, spiega Antonio Maria Grimaldi, direttore UOC di Oncologia medica dell’Ospedale San Pio di Benevento.

Campanelli d’allarme

“I fattori che possono far sospettare di avere un melanoma – continua Grimaldi - sono riassunti nella sigla ABCDE: A per asimmetria; B per bordi, irregolari e indistinti; C come colore, perché possono essere lesioni policrome scure o tendenti al rossastro; D come dimensione che può variare, incrementando e, infine, E per evolutività, perché la lesione da piatta può divenire rilevata in poco tempo. In ogni caso l’autodiagnosi non sostituisce mai il parere dello uno specialista, il dermatologo, che possiede l’esperienza e la strumentazione adatta a formulare una diagnosi corretta.”

Fototipi e fotoprotezione

Le persone con fototipo chiaro devono prestare particolare attenzione a usare fotoprotezione alta nell’esporsi ai raggi UV del sole. Queste persone infatti, “si scottano rapidamente – aggiunge l’oncologo - ci mettono molto tempo per abbronzarsi e hanno bisogno di protezione solare molto alta. I soggetti rossi o biondi, rispetto a chi ha capelli neri o scuri, hanno un rischio relativo di sviluppare melanoma dal 50 al 100% più elevato”.

Sono stati caratterizzati 6 fototipi che corrispondono ai livelli di melanina (un pigmento che protegge dai raggi UV) presente nella pelle: più bassa è la melanina, più chiari sono pelle, occhi e capelli e minore è il valore del fototipo; più alta è la melanina, più scuri sono pelle, occhi e capelli e maggiore è il valore del fototipo. In altre parole, chi è fototipo 1 “ha pelle bianco lattea, capelli biondo-rossastri, occhi chiari, azzurri o verde chiaro: si scottano molto facilmente in tempi rapidi e non riescono ad abbronzarsi. Il contraltare – precisa Grimaldi - è il fototipo 6: pelle scura, capelli neri, occhi scuri, si abbronzano molto intensamente e non si scottano mai. A prescindere dal fototipo – sottolinea l’esperto - è essenziale la fotoprotezione (la “crema solare”) e ridurre il più possibile l’esposizione alle radiazioni UV soprattutto dalle fonti artificiali che, a prescindere dal fototipo, fanno male”.

Importanza del test BRAF

“La ricerca di mutazioni V600E del gene BRAF è l’analisi molecolare di prima istanza in pazienti con melanoma - soprattutto se il melanoma è in fase inoperabile o metastatica - e deve essere fatta prima di ogni trattamento, al momento della diagnosi di malattia avanzata, per garantire il migliore percorso terapeutico”, dice Grimaldi. Questo test, “si esegue sul campione istologico della metastasi e, se non è possibile, sul campione del melanoma primitivo. Nel terzo stadio radicalmente operato, la determinazione di BRAF è eseguita sul campione istologico della metastasi linfonodale”.

Per molto tempo c’è stato un dibattito sul valore prognostico della mutazione del gene BRAF, cioè sul fatto che sia indice di un andamento clinico peggiore. “Quello che sappiamo – racconta l’oncologo - è che in presenza della mutazione possiamo utilizzare inibitori di BRAF e inibitori di MEK”. Come è noto, BRAF è un gene da cui deriva una proteina che regola la crescita delle cellule tumorali. MEK è un’altra proteina coinvolta in questi meccanismi di regolazione. Quando il gene BRAF è mutato, la proteina è alterata e stimola in modo continuo la crescita e la proliferazione delle cellule tumorali. Il farmaco inibitore di BRAF (BRAFi) blocca la proteina, l’inibitore di MEK (MEKi) rafforza il blocco del processo, agendo su un altro punto più a valle di BRAF, e si arresta così la proliferazione cellulare. “L’associazione di questi due farmaci – osserva Grimaldi - ha cambiato la prognosi dei pazienti sia in fase metastatica che adiuvante”, cioè dopo intervento chirurgico.

Il test dovrebbe essere più diffuso per terapie mirate su pazienti con melanoma BRAF-mutato

La mutazione di BRAF è presente nel 50% circa dei pazienti affetti da melanoma. Le linee guida dell’Associazione italiana di oncologia medica (AIOM) prevedono la valutazione di BRAF nel melanoma in stadio terzo (operato o non) e quarto. “Questa mutazione – racconta l’oncologo - ha un valore prognostico negativo, ma ha valore predittivo di risposta alle terapie target”, cioè mirate. L’impiego in associazione di inibitori di BRAF e MEK “ha dato risposte esaltanti”, continua l’oncologo osservando che “tutte le strutture dovrebbero garantire ai propri pazienti il test della mutazione BRAF. All’ospedale San Pio di Benevento - conclude Grimaldi - è disponibile da febbraio di quest’anno e grazie a questo abbiamo potuto garantire la terapia mirata ai nostri pazienti risultati mutati in BRAF”.

23/05/2022

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