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Il rischio cardiovascolare ricopre, insieme alla sua corretta valutazione, un ruolo essenziale all’interno di un percorso di prevenzione delle malattie cardiache. Il tema è stato di recente approfondito prendendo in considerazione il rischio relativo alle donne e l’importanza dei fattori non biologici e legati all’etnia.

I limiti dei fattori tradizionali di rischio

Dall’American Heart Association arriva una nuova dichiarazione scientifica, pubblicata su Circulation, che affronta le difficoltà legate al calcolo del rischio cardiovascolare per la popolazione femminile di origine non caucasica. In questo caso, infatti, sono state riscontrate pesanti limitazioni nel ricorso ai fattori di rischio tradizionali, rendendo quindi complesso delineare adeguate misure di prevenzione.

I fattori di rischio tradizionali comprendono di solito la presenza il diabete di tipo 2, i valori di pressione sanguigna e di colesterolo, la storia familiare, il fumo, l’attività fisica, la dieta e il peso corporeo. Questi elementi, seppur importanti, non sono però in grado di offrire un profilo di specificità di genere e non considerano, ad esempio, la presenza di patologie più frequenti tra le donne che tra gli uomini.

Fattori di rischio specifici per le donne

Per ovviare a queste problematiche, sono stati indentificati alcuni fattori specifici che servono a inquadrare in maniera più precisa il rischio cardiovascolare per le donne, tra cui rientrano condizioni legate alla gravidanza come preeclampsia, parto pretermine, diabete gestazionale, ipertensione gestazionale o aborto. Oltre a questi eventi, viene sottolineata l’importanza di raccogliere una serie di informazioni relative alla storia del ciclo mestruale della donna, come l’età del primo ciclo e della menopausa, l’eventuale assunzione di una terapia sostitutiva ormonale, di chemioterapia o radioterapia e se sia stata riscontrata la sindrome dell’ovario policistico, che arriva a colpire fino al 10% delle donne in età riproduttiva ed è connessa a un maggiore rischio di malattia cardiovascolare.

Altri fattori di rischio sono rappresentati dalle malattie autoimmuni, considerando anche il fatto che le donne hanno il doppio di probabilità di soffrire di artrite reumatoide o lupus rispetto agli uomini. Queste patologie determinano una più veloce insorgenza di placche nelle arterie, un più elevato rischio di malattia cardiovascolare ed esiti peggiori dopo aver subito un attacco cardiaco o un ictus. Da prendere attentamente in considerazione anche l’aver sofferto di depressione e di disturbo post traumatico da stress.

In aggiunta, sono stati evidenziati vari fattori di rischio cardiovascolare correlati all’etnia. Le donne di colore non ispaniche, ad esempio, risultano avere la prevalenza più elevata al mondo di ipertensione e hanno probabilità più elevate di sviluppare diabete di tipo 2, obesità e di incorrere in decesso per cause correlate al fumo.

Tra gli altri dati riportati dall’American Heart Association, le donne ispaniche di origine latina hanno tassi di obesità maggiori rispetto agli uomini della stessa etnia; in Asia, le donne cinesi hanno tassi di ipertensione più alti degli uomini del 30% e le donne filippine del 53%.

L’analisi pone anche l’accento su differenze di tipo sociale, come barriere linguistiche, discriminazione, disparità culturale e accesso alle cure, che tendono a determinare un impatto negativo sulla prevenzione delle malattie cardiovascolari soprattutto per quanto riguarda la popolazione femminile di alcune etnie.

10/05/2023

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