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Il ruolo dei pazienti è fondamentale anche in ambito di sicurezza delle cure. Proprio per questo, dal 2019, l'Organizzazione mondiale della sanità celebra, il 17 settembre di ogni anno, il World patient safety day. A partire dal tema dell’edizione 2023 - ‘Elevate, the voice of patient’ - per raggiungere i pazienti affetti da patologie croniche importanti e cittadini, è stato predisposto un sondaggio, promosso da Novartis e curato da INSH (Italian Network in Safety Healthcare), che è stato somministrato da Doxa Pharma a 400 pazienti e 800 cittadini.

Il questionario - primo nel suo genere perché la cultura della sicurezza finora è stata testata solo sugli operatori sanitari - ha indagato 4 aspetti: 1) la conoscenza dei principi base della gestione del rischio clinico 2) la conoscenza delle buone pratiche per la sicurezza delle cure 3) la conoscenza degli studi clinici sui farmaci innovativi e la telemedicina 4) le fonti utilizzate per informarsi. Prendendo spunto dai primi risultati ottenuti con questo sondaggio, in occasione di un evento il 18 settembre, si sono confrontati alcuni esperti nel settore, tra cui Riccardo Tartaglia, Professore dell'Università Marconi e Presidente onorario di INSH e Micaela La Regina, Direttore f.f. S.C. Governo e Rischio Clinico Asl5 La Spezia e Vicepresidente INSH.

I sanitari devono essere infallibili

Nel dettaglio, il primo concetto emerso dal sondaggio è sicuramente il concetto di malasanità. I dati raccolti evidenziano che il paziente e i cittadini sono sicuramente più concentrati sulla loro malattia che sul sistema salute in generale. La metà circa di pazienti e di cittadini non sanno distinguere tra evento doloso e evento colposo, nell’ambito della sicurezza delle cure, senza particolare differenza tra pazienti con malattie croniche e cittadini, che hanno un rapporto episodico con gli ospedali, e nemmeno in base alla scolarità.

“È un dato che sicuramente colpisce - osserva La Regina - ma che non ci sorprende, perché noi sperimentiamo tutti i giorni quello che poi è emerso: non si può sbagliare, i sanitari devono essere infallibili. Cosa che invece ovviamente non è, perché sbagliare è insito nella natura umana e, anzi, tutti i sistemi e le organizzazioni devono essere attivate, compresi i pazienti, per mettere gli operatori nelle condizioni di sbagliare il meno possibile. E in questo è fondamentale anche il contributo dei pazienti”.

Quando avviene un incidente, “quella predominante - afferma Tartaglia - è sempre la cultura della colpa, cioè l’identificazione di un colpevole, ancor prima di aver analizzato come sono andate le cose. E devo dire che il confine, in medicina, tra complicanza (possibile evoluzione della malattia) e evento avverso (danno derivante dalla gestione sanitaria) è spesso un confine molto sottile, per cui è veramente necessario approfondire come sono andate le cose prima di attribuire le responsabilità. Infatti, quando si analizza approfonditamente un incidente, emerge spesso chi si ritiene responsabile non è stato messo nelle condizioni di lavorare nel modo migliore, quindi le responsabilità non sono soltanto sue, ma del sistema in cui opera. Credo - aggiunge - che noi dobbiamo assolutamente superare questo nostro atteggiamento culturale per cui, quando avviene qualcosa, pensiamo di risolvere il problema limitandoci a togliere la “mela marcia” dal paniere, non è così che si fa”.

Errori in medicina: noti, ma sconosciuti

La consapevolezza degli errori in medicina è molto bassa tra pazienti e cittadini: ne hanno sentito parlare, ma non sanno effettivamente che cosa sia. “Lo studio - sottolinea La Regina - ci mette davanti alla necessità di intervenire sicuramente con campagne educative e un po’ a tutti i livelli, a cominciare dalle scuole per finire, adesso con la riforma, alle case di comunità, le case della salute, che sono i punti più prossimi alla cittadinanza. Potrebbe essere utile fare dei programmi per diffondere questi concetti. Sapere che lo stesso processo mentale per cui metto il sale nel caffè al posto dello zucchero è alla base di un errore di terapia, riduce la conflittualità, riduce anche questo problema così diffuso, adesso, che è alla base delle aggressioni”. Affrontare il problema comporta un cambio di paradigma per Tartaglia. “Più che lavorare sugli incidenti, sugli errori - riflette il professore - di cui la gente parla malvolentieri, anche ovviamente chi ne è stato vittima”, paziente e operatore sanitario, “dobbiamo invece lavorare di più su cosa fare per migliorare la qualità delle cure, su quelle che sono le cosiddette buone pratiche, che devono essere adottate per elevare i livelli di sicurezza, di appropriatezza delle cure”.

Studio clinici sui farmaci: poca informazione ed errate percezioni

All'interno dell'area delle buone pratiche per la sicurezza delle cure, c’è il tema dello sviluppo dei farmaci e delle conoscenze che hanno pazienti e cittadini su queste tematiche degli studi clinici. “Mi ha sorpresa che solo una piccola percentuale, cioè la minoranza dei pazienti, tutto sommato ne ha conoscenza – commenta il direttore medico Novartis, Paola Coco - mentre, sulla popolazione generale c'è veramente una disinformazione totale, anche su aree terapeutiche note come l’oncologia. Inoltre, non solo non hanno idea di come accedere agli studi, ma sia i pazienti che i cittadini considerano rischiosi gli studi clinici e li considerino solo per una certa categoria di pazienti, cioè quelli terminali”. A questo proposito, continua Coco “abbiamo visto che, grazie all'evolversi delle cure, in realtà su varie tipologie di farmaci, di patologie, noi riusciamo veramente fare la differenza; ed è veramente un peccato che spesso la paura di un evento avverso venga poi considerata la barriera principale alle cure, come ci dicono vari studi. Ma sappiamo anche che è nelle fasi più precoci delle malattie che le terapie possono poi effettivamente fare la differenza”.

“Questa diffidenza nei confronti degli studi clinici - chiosa Tartaglia - fa parte di una diffidenza più ampia nei confronti della scienza. Lo abbiamo visto con il Covid”, e l’antidoto è l’informazione, spiegare che “se oggi non si muore più di tante malattie, questo è proprio dovuto alla ricerca”.

Anche in questo caso, quindi, servirebbero campagne di sensibilizzazione sulla popolazione sul fatto che uno studio clinico è in realtà un’opportunità che gli può salvare la vita.

Le buone pratiche

Buona parte dei pazienti, ultima questione sollevata dal questionario, non considera importante portare alle visite specialistiche la documentazione sui farmaci che assume, nell’erronea convinzione che ‘se vado da questo specialista, non gli interessa quello che invece prendo per quell'altro problema’. Si ha quindi “l’iper-frammentazione delle cure che genera errori - riflette La Regina - perché è invece una di quelle tipiche situazioni in cui paziente mette il medico nella condizione di sbagliare e incorrere in interazioni. Non so - prosegue - se questo verrà superato, magari con il fascicolo sanitario elettronico”. Il problema è “il tempo”, per Tartaglia. Oggi “la fretta, anche nel lavoro dei sanitari - ricorda il professore - porta ad avere sempre meno tempo per ascoltare i pazienti. E questo è di una gravità veramente importante. Vorrei anche degli operatori sanitari più attenti nell’ascoltare, perché l'ascolto è fondamentale: se il vostro medico non vi ascolta, cambiatelo, perché non va bene”. Certo, “se in un pronto soccorso mettessero personale amministrativo a svolgere alcune pratiche burocratiche, probabilmente i medici - conclude - avrebbero più tempo per i pazienti”.

22/09/2023

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