Trapianto di fegato: qualcosa è cambiato
Intervista a Amedeo Carraro, responsabile USD Trapianti Epatici, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata Borgo Trento-Verona.
It looks like you are using an older version of Internet Explorer which is not supported. We advise that you update your browser to the latest version of Microsoft Edge, or consider using other browsers such as Chrome, Firefox or Safari.
Intervista a Amedeo Carraro, responsabile USD Trapianti Epatici, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata Borgo Trento-Verona.
Il trapianto di fegato rappresenta ancora oggi l’unica l’opzione terapeutica per molte malattie epatiche terminali, per l’insufficienza epatica acuta e per alcune malattie metaboliche o congenite, sia dell’adulto sia del paziente pediatrico che presentino un coinvolgimento del fegato.
Classicamente, “il danno cronico sostenuto da alcuni agenti (ad esempio virus e/o alcol) è graduale e determina un importante cambiamento della struttura del fegato, con il deposito di fibrosi sino allo sviluppo della cirrosi epatica e il progressivo deterioramento della funzione dell’organo”, spiega Amedeo Carraro, responsabile USD Trapianti Epatici, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata Borgo Trento-Verona.
Sebbene la tipologia standard del paziente candidato a trapianto di fegato sia da sempre associata alla cirrosi alcolica e virale, “in questi ultimi anni si è assistito a un progressivo cambiamento del panorama delle indicazioni alla terapia sostitutiva del fegato – continua Carraro -. Si è assistito, ad esempio, a una netta riduzione delle forme virali, con particolare riferimento alle epatopatie HCV-relate, grazie alla introduzione dei nuovi farmaci antivirali ad azione diretta (DAA Direct-Acting antivirals)”.
Come osserva il chirurgo, “l’uso degli antivirali ad azione diretta è in grado di indurre, nella maggior parte dei pazienti, una risposta virologica sostenuta, ovvero la condizione di assenza di replicazione virale a distanza di tempo dalla sospensione della terapia”. Al momento attuale, i dati nazionali confermano in effetti una netta diminuzione dei pazienti affetti da cirrosi HCV-relata candidati a trapianto di fegato.
“Nel contempo – aggiunge - è emersa una maggiore percentuale di indicazioni di carattere dismetabolico, ovvero pazienti con malattia epatica terminale da steatopatia metabolica”, condizione conosciuta anche come steatosi epatica o fegato grasso.
Tuttavia, uno dei fronti della trapiantologia che ha sicuramente raccolto maggior attenzione ed entusiasmo nel tempo, è l’ambito oncologico, noto anche come “transplant oncology”. “Oltre al trapianto epatico per tumore primitivo del fegato (epatocarcinoma) – dice Carraro - entro certi limiti di numero e dimensioni, vi sono infatti sempre maggiori esperienze anche nell’ambito della metastasi da tumore neuroendocrino e, più recentemente, colangiocarcinoma e tumore metastatico da carcinoma del colon retto. È importante - continua - specificare che soprattutto queste ultime indicazioni non possono essere estese a tutti i pazienti, ma ciascun caso deve essere studiato e valutato entro determinati criteri e all’interno di specifici protocolli che garantiscano il maggior successo dopo trapianto”.
Il trapianto di fegato da donatore deceduto rappresenta a tutt’oggi l’opzione standard. “Dopo l’inserimento in lista – ricorda il chirurgo - le tempistiche d’attesa sono vincolate non solo dalla disponibilità dell’organo ma anche dalla compatibilità di gruppo, dimensionali e soprattutto dalla gravità clinica (secondo gli algoritmi ISOscore 2.0 stabiliti a livello nazionale)”.
È importante sottolineare che nella realtà trapiantologica italiana, il paziente può essere iscritto in un unico centro di riferimento. “Ciascun centro trapianto – aggiunge Carraro -, ha pertanto una attività che dipende dalla numerosità di lista, dal pool dei donatori e dalla policy stessa del centro. Sulla base di tutte queste considerazioni, ne consegue che i tempi d’attesa possano essere variabili con un range medio compreso tra 6 mesi e 1 anno e 6 mesi, secondo i dati ufficiali del Centro Nazionali Trapianti (CNT)”.
Grazie alla attività donativa, che rimane pur sempre insufficiente rispetto alla richiesta, negli ultimi anni l’attività di trapianto di fegato è stabilmente sopra quota 1200/anno. “Questi numeri sono a fronte di una attività non solo standardizzata ma che permette al paziente trapiantato di tornare a una ottima qualità di vita – fa notare il clinico -. Il paziente sottoposto a trapianto di fegato, infatti, riesce a tornare a un buon re-inserimento nella società e nel mondo del lavoro. A conferma di un completo ritorno alla vita sociale, ci sono numerosi esempi di pazienti che, ad esempio, affrontano gravidanze o sostengono nuovi percorsi lavorativi”.
Tutto questo è possibile anche grazie a “un rapporto di fidelizzazione con il Centro Trapianti di riferimento, che segue l’epato-trapiantato sempre con grande cura ed attenzione. Normalmente – conclude Carraro - i controlli dopo trapianto sono seriati a cadenza settimanale e successivamente vengono dilazionati sino ad arrivare a un controllo all’anno, dopo definitiva stabilizzazione. Per molti di questi pazienti il trapianto rappresenta davvero un percorso di vita e di condivisione con il proprio centro di riferimento”.
Ora sarai reindirizzato su un contenuto dell'area pubblica