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Continuano gli approfondimenti sui temi di attualità in politica sanitaria realizzati dal Presidente di Salutequità Tonino Aceti, esperto di politiche sanitarie e tutela dei diritti dei pazienti, in esclusiva per Alleati per la Salute, di cui è membro del comitato di garanzia.

Sono trascorsi esattamente sette anni dall’approvazione del Piano Nazionale della Cronicità. Ma in tutto questo tempo, in diverse Regioni d’Italia, la realtà dell’assistenza sanitaria per i malati cronici è cambiata poco o nulla. Basti pensare che per il solo recepimento formale del Piano attraverso delibera regionale, che rappresenta il primo adempimento previsto dall’atto stesso, secondo i dati prodotti dall’Osservatorio di Salutequità, sono stati necessari nel caso della Sardegna cinque anni, quasi quattro per il Friuli-Venezia Giulia e più di tre in Basilicata e Sicilia.

La sua mancata attuazione in gran parte del territorio nazionale ha fatto sì che (insieme ad altre criticità), per quanto riguarda la capacità di presa in carico e di continuità assistenziale per le cronicità, il SSN si presentasse impreparato all’appuntamento con il Covid-19, scaricando quasi totalmente sui Pronto Soccorso, da tempo alle prese con tagli di personale e condizioni di lavoro insostenibili, l’onere della risposta assistenziale. Infatti, secondo il Rapporto Annuale 2021 dell’Istat, nel 2020 “le visite specialistiche di controllo o prime visite, finalizzate a impostare un eventuale piano diagnostico terapeutico si sono ridotte di quasi un terzo”.

Anche nel 2022, per i malati cronici, oltre 5,5 milioni di visite di controllo in meno rispetto al 2019: a livello nazionale sono saltate circa 1 prestazione su 6 e fino ad oltre 1 su 3 in Sardegna, PA Bolzano, Valle d’Aosta. Inoltre, è aumentata la percentuale di persone con bassa aderenza terapeutica e, in alcuni casi, il rispetto dei percorsi diagnostico-terapeutici-assistenziali (PDTA) è risultato particolarmente critico, come nel caso del diabete. Tutto questo “arretrato” doveva essere recuperato dalle Regioni attraverso gli ingenti stanziamenti (circa 500 milioni di euro relativi al 2022) per il recupero delle liste di attesa.

Ma la ripartenza ancora una volta non c’è stata. Infatti, secondo i dati della Corte dei conti, nel 2022 il 43% delle prestazioni ambulatoriali non sono state recuperate e 152 milioni di euro non sono stati spesi.

La messa a terra del Piano Nazionale della Cronicità avrebbe potuto contribuire a contenere l’onda d’urto del Covid-19 sul Servizio Sanitario Nazionale, a renderlo, cioè, più resiliente, ma almeno sei fattori negli anni ne hanno ostacolato la sua attuazione.

  • Il primo. Il Piano non ha potuto contare su un finanziamento specifico da ripartire a favore delle Regioni e quando i Piani non sono finanziati, la storia ci insegna che difficilmente vengono attuati.
  • Il secondo. L’attuazione del Piano ancora oggi non è un indicatore utilizzato dal Ministero della Salute per misurare e valutare le performance delle Regioni nella loro capacità di garantire i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) ai cittadini. Praticamente non è ancora un banco di prova per le Regioni.
  • Il terzo. Solo nel 2022, cioè sei anni dopo l’approvazione del Piano cronicità, il nostro Paese si è dotato di standard qualitativi, quantitavi, strutturali, tecnologici e organizzativi dell’assistenza territoriale (DM 77/2022). Se il Piano ha tracciato il modello di presa in carico, va detto che per troppo tempo è mancata l’infrastruttura sanitaria per metterlo a terra concretamente.
  • Il quarto. La scarsa implementazione del fascicolo sanitario elettronico e in generale della sanità digitale. Nel 2018 in Italia vi erano solo 282 esperienze di telemedicina, molte a carattere sperimentale, solo in alcune aree terapeutiche e numericamente diffuse in modo molto differente da Regione a Regione.
  • Il quinto. La normativa sulla privacy rappresenta un blocco per l’implementazione dell’attività di stratificazione della popolazione, quale principale strategia prevista dal Piano della cronicità e dal DM 77 per la programmazione di politiche e interventi.
  • Il sesto. La carenza di personale sanitario, tuttora presente, a causa di anni del blocco del turnover ed errori di programmazione nella formazione dei professionisti. Inoltre, si è stati fermi per troppo tempo sul modello di lavoro ed interazione tra tutte le professioni coinvolte nella presa in carico del paziente, ancora oggi per nulla chiaro, nonché sull’evoluzione delle loro competenze. Solo con il Covid, per esempio, è stata introdotta nell’ordinamento la nuova figura dell’infermiere di famiglia e di comunità, come pure l’ampliamento della gamma di servizi offerti da farmacie e farmacisti.

Proprio in queste settimane si sta decidendo l’aggiornamento del Piano nazionale della cronicità, divenuto necessario a seguito delle emergenze che oggi si trova ad affrontare il SSN e delle innovazioni organizzative e professionali intervenute durante la pandemia.

Ma non basterà aggiornarlo, bisognerà farlo bene ed evitare gli errori commessi in passato.

In particolare, sarà necessario prevedere un finanziamento specifico come del resto fatto per i Piani nazionali su malattie rare e oncologiche, dovrà diventare un banco di prova per le Regioni ai fini della valutazione del punteggio LEA, sarà inoltre necessario integrare nella seconda parte del piano alcune patologie oggi esodate come ad esempio la psoriasi, la sclerosi multipla e diverse altre, e infine sarà importante aumentare il livello di accountability del Ministero e delle Regioni sullo stato di attuazione del Piano, anche attraverso l’istituzione di un relazione annuale al Parlamento da parte del Ministero della Salute.

Ma l’aggiornamento del Piano potrebbe non essere sufficiente per cambiare passo. Sarà fondamentale che il nuovo Piano nazionale parli e si integri perfettamente con il DM 77 e il nuovo disegno dell’assistenza territoriale previsto dal PNRR. Due elementi sui quali però oggi vi sono alcuni profili di incertezza. Sul DM 77 infatti il Ministero della salute ha da poco attivato un tavolo propedeutico all’analisi delle criticità anche in un’ottica di sua futura revisione; come pure sul PNRR è stata presentata una proposta di modifica. Infine, bisognerà sciogliere una volta per tutte il nodo relativo alla medicina generale, lavorando alla definizione di un modello che sia in grado di assicurare il massimo livello di coerenza ed integrazione con le riforme del territorio messe già in cantiere con il DM 77 e il PNRR. Altrimenti, le incoerenze del sistema continueranno a bloccare il cambiamento necessario per rafforzare il SSN, per aumentare la garanzia dei LEA e per utilizzare al meglio le risorse a disposizione.

27/09/2023

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