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È una patologia silente che non causa dolore, per questo motivo viene troppo spesso ignorata e trascurata. Eppure l’insufficienza renale cronica colpisce il 7-8% della popolazione italiana, uomini e donne in egual misura, ed ha una prevalenza maggiore del diabete mellito. Tuttavia, se ne parla poco perché asintomatica.

Aumentare la consapevolezza dell’insufficienza renale cronica nel fondamentale ambito delle cure primarie è l’obiettivo del progetto DANTE, acronimo di “The Disease Awareness Innovation Network, una soluzione innovativa che propone un sistema di interazione tra nefrologo e medico di medicina generale, sperimentato nella regione Puglia con il coinvolgimento di 17 medici di base, 2 nefrologi e oltre 18000 pazienti. Secondo uno studio condotto dall’Università di Bari “Aldo Moro” è ancora troppo bassa la percentuale di diagnosi della malattia renale, nonostante rappresenti un serio problema di salute pubblica a livello globale.

Si stima, infatti, che oltre 850 milioni di persone ne siano affette, in Italia il 7% della popolazione, e i numeri sono in costante crescita anche a causa dell’aumento dei fattori di rischio principali (diabete, obesità e ipertensione).

Il vero problema è che si tratta di una malattia insidiosa e subdola, in quanto non si manifesta con sintomi importanti fino a quando la riduzione della funzione renale non è estremamente avanzata. Per questo motivo, molto spesso l’insufficienza renale cronica viene diagnostica troppo tardi, quando fanno la loro comparsa anoressia, anemia, astenia, sensazione di freddo, fiato corto, tutti sintomi aspecifici che non richiamano immediatamente la presenza di una malattia renale. Non solo, molti pazienti raggiungono gli ultimi stadi di insufficienza renale grave e richiedono trattamenti sostituivi come la dialisi, che grava per quasi il 2% sull’intero budget della spesa sanitaria nazionale, o il trapianto renale, una soluzione che di rado è immediatamente disponibile.

Lo studio, condotto dal gruppo di ricerca del prof Loreto Gesualdo, e del prof Francesco Pesce dell’ateneo barese, pubblicato alcuni mesi fa sulla rivista internazionale Journal of Neurolgy, ha un notevole impatto per le importanti implicazioni cliniche, epidemiologiche e socio-economiche. Per sei mesi lo specialista nefrologo e il medico di medicina generale hanno instaurato un percorso formativo basato su formazione teorica, visite congiunte con lo specialista negli studi dei medici di famiglia e networking per discussione dei casi più emblematici o complessi su piattaforma online o di instant messaging.

La ricerca si è basata sul presupposto che una iniziativa del genere potesse aumentare la consapevolezza della malattia renale nell’ambito delle cure primarie. Infatti, la diagnosi è molto semplice, è sufficiente far eseguire al paziente un esame del sangue per misurare la creatinina, sulla base del quale si calcola l’eGFR che valuta la funzione del rene, e un esame delle urine per misurare l’ACR che è un marcatore del danno renale dovuto per esempio al diabete.

Dai risultati dello studio è emerso un incremento nella prescrizione delle analisi della creatinina e dell’ACR in tutti i pazienti rispettivamente del 43% e 121% e soprattutto in quelli più a rischio, ovvero i diabetici, gli ipertesi e cardiopatici. Questo ha permesso di individuare pazienti con insufficienza renale precedentemente non diagnosticati e da affidare alle cure dello specialista nefrologo per evitare che peggiorassero nel tempo fino alla dialisi. Si conferma, dunque, che grazie alla stretta collaborazione tra nefrologo e medico di medicina generale la diagnosi precoce è possibile. Due semplici esami permettono allo specialista di mettere in atto le cure più opportune, a vantaggio del paziente ma anche del Sistema sanitario nazionale.

02/12/2022

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