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L’ipercolesterolemia (il colesterolo ‘cattivo’ LDL) è tra i principali fattori del rischio cardiovascolare: il colesterolo LDL in eccesso tende ad accumularsi e a depositarsi a livello della parete arteriosa, dove contribuisce in maniera determinante allo sviluppo della malattia aterosclerotica e delle sue complicanze principali, rappresentate dalle patologie cardiovascolari, infarto miocardico e ictus in primo luogo. Da qui la necessità ineludibile di mettere sotto controllo i valori di colesterolo LDL nel corso della vita.

Non solo. Chi ha affrontato un infarto è un paziente cronico, al pari di uno diabetico od oncologico. Dunque, una volta superato l’evento acuto, è importante seguire le terapie in modo puntuale e costante, altrimenti il rischio è che la patologia progredisca. Tuttavia, nel periodo di emergenza dettata dal Covid, i pazienti hanno interrotto o sono stati discontinui nelle cure, anche per quanto riguarda l’ipercolesterolemia. Risultato? Hanno di fatto aumentato il rischio di incorrere in un successivo evento cardiovascolare.

La conferma arriva da un’analisi condotta tra il 2019 e il 2020 dall’Agenzia regionale di sanità (ARS) della Toscana e dall’Università di Firenze, in collaborazione con Novartis, mirata a verificare l’impatto della pandemia sulla qualità della cura delle ipercolesterolemie nella regione, prendendo in considerazione le informazioni sul consumo di farmaci e di esami di laboratorio estratte dai flussi amministrativi del sistema sanitario toscano.

L’indagine ha preso in esame i residenti di età superiore a 45 anni delle aree delle ex-ASL di Massa Carrara, Empoli, Viareggio, Prato, Arezzo, Siena e Grosseto, per le quali erano disponibili i risultati degli esami di laboratorio effettuati e sono state analizzate due coorti, una per l’anno 2019 e una per l’anno 2020. Obiettivo dello studio: realizzare uno “strumento di monitoraggio” per la valutazione e il governo della presa in carico dei pazienti affetti da ipercolesterolemia primaria (familiare e non familiare).

Confrontando il 2020 con il 2019, non si evidenzia alcuna riduzione del numero complessivo di persone che assumono almeno un farmaco, che anzi aumenta lievemente. Si verifica però una riduzione di coloro che effettuano la terapia con continuità, anche tra i pazienti con i livelli di rischio più alto (diabetici con pregressi MACE, Major adverse cardiovascular event) è rilevante il numero di coloro che non riceveva alcun trattamento farmacologico.

“Dal punto di vista scientifico siamo ben consapevoli dell’importanza dell’ipercolesterolemia come fattore di rischio cardiovascolare – afferma Rossella Marcucci, professoressa di Medicina interna all’Università di Firenze e direttrice della Struttura Malattie Aterotrombotiche all’ospedale Careggi -. Sappiamo che elevati livelli di colesterolo si associano ad un aumento del rischio cardiovascolare ma anche, e soprattutto, che la riduzione farmacologica dei livelli di colesterolo si associa a una riduzione degli eventi cardiovascolari che, di conseguenza, comporta una riduzione in termini di eventi di morte e di costi per il Servizio sanitario nazionale”.

“Dallo studio epidemiologico condotto su pazienti di cui si aveva un livello monitorato di colesterolo LDL – spiega Marcucci - emerge che più del 50 per cento dei pazienti in prevenzione secondaria, quindi a rischio elevato, alto o molto elevato, non hanno i livelli di colesterolo LDL che noi consigliamo e raccomandiamo e che le linee guida ci indicano. In altre parole, non sono a target. Se i pazienti sono a rischio alto o molto alto, ovvero hanno già avuto un evento cardiovascolare, il livello di colesterolo deve stare sotto i 50 mg decilitro o sotto i 70 mg decilitro. Ebbene, dall’analisi si evince che più del 50% dei pazienti non sono a target, hanno cioè valori di colesterolo cattivo più alto rispetto a quelli consentiti per queste categorie di pazienti. Quindi sono più a rischio di infarto, ictus e morte”.

Nello specifico, ammette Marcucci “l’86% dei pazienti non diabetici che avevano o hanno avuto un evento cardiovascolare non sono a target, così come non è a target il 74% dei pazienti diabetici con un evento cardiovascolare. Quindi il quadro è davvero poco confortante”.

Nel complesso, i risultati dimostrano che c'è un sotto-trattamento dei pazienti con basso raggiungimento dei target individuati dalle linee guida, anche nelle classi di rischio cardiovascolare più elevato. Il numero di persone che riceve un trattamento farmacologico per l’ipercolesterolemia è infatti inferiore alle attese, soprattutto tra i pazienti con diabete e/o pregressi MACE. La pandemia ha dunque determinato un peggioramento della qualità delle cure per l’ipercolesterolemia, provocando una sensibile riduzione del numero di determinazioni del quadro lipidico nei laboratori della Regione. Tuttavia, il numero dei pazienti che hanno ricevuto almeno una prescrizione di un farmaco ipocolesterolemizzante nel corso del 2020 non si è ridotto.

L’iniziativa messa in atto conferma come l’utilizzo di strumenti digitali di monitoraggio nell’ambito dell’ipercolesterolemia possa avere un impatto positivo per evidenziare eventuali need o gap assistenziali. per contribuire a definire iniziative volte a migliorare il raggiungimento di obiettivi terapeutici e, quindi, tutelare la salute dei cittadini.

Un esempio pratico potrebbe essere l’attuazione di modelli di sanità di iniziativa, già approvato con deliberazioni di giunta regionale ormai già cinque anni fa, per l’intercettazione e la presa in carico proattiva degli assistiti ad alto rischio cardiovascolare.

I dati dello studio “sono molto importanti nella realtà clinica – sottolinea l’esperta – e mettono in luce un problema enorme: nonostante le raccomandazioni di tenere basso il colesterolo, questo messaggio non arriva ai nostri pazienti. Manca un percorso adeguato per raggiungere l’obiettivo: rendere le persone più consapevoli del rischio. Le terapie non mancano. Anzi, ne abbiamo a disposizione tante: le standard di primo livello (tra cui le statine) e di secondo livello (inibitori della PCSK9), e sono in arrivo nuove generazioni di farmaci (es i SiRNA)... Tutte “armi” che in teoria possono ridurre il colesterolo dell’80-85%, quindi se non riusciamo in questo obiettivo significa che abbiamo bisogno di lavorare sui percorsi e sui medici oltre che sui pazienti”.

Prossima tappa, la più rapida, “che pensiamo di fare in Regione Toscana è di proporre un percorso ad hoc che consenta di seguire i pazienti, tutti ad alto rischio e in prevenzione secondaria, una volta dimessi, con una prima terapia. Seguirli anche nel tempo, così da verificare che effettivamente si ottengano migliori risultati - conclude Marcucci -. Nelle lettere di dimissioni si scrivono tante belle cose ma se i pazienti non vengono seguiti anche una volta tornati a casa si corre il rischio che quelle raccomandazioni si perdano, come di fatto accade”.

L’implementazione del “tool di monitoraggio” ha facilitato la raccolta e l’analisi di dati epidemiologici e di outcome per valutare la situazione regionale in relazione all’ipercolesterolemia grazie ad un approccio ‘data driven’. Ciò ha consentito di valutare l’impatto della pandemia Covid-19 sui pazienti in trattamento con farmaci ipolipemizzanti, ma anche di analizzare la presa in carico dei pazienti con ipercolesterolemia, valutando eventuali correlazioni tra i livelli di controllo e caratteristiche del percorso di presa in carico. I primi risultati mostrano come ci siano forti eterogeneità nel raggiungimento dei target terapeutici per genere (le donne hanno una probabilità significativamente più bassa di avere livelli di colesterolo LDL in linea con i target suggeriti dalle linee guida) e per territorio di residenza.

Nello studio “sono stati valutati i pazienti con almeno una determinazione contemporanea di colesterolo, colesterolo HDL e trigliceridi, che consenta il calcolo del colesterolo LDL – rimarca Paolo Francesconi, Dirigente Osservatorio di epidemiologia Agenzia regionale di sanità della Toscana - soggetti con almeno una prescrizione di un farmaco per l’ipercolesterolemia (statine) e il numero delle persone che avevano ritirato una quantità di farmaco sufficiente a coprire il 75% della posologia prevista. Come periodo di riferimento, si sono presi gli ultimi sei mesi in chi aveva almeno una determinazione del quadro lipidico e l’ultimo anno in chi non aveva determinazioni di laboratorio”.

L’analisi è stata effettuata suddividendo la popolazione in categorie, sulla base della presenza di pregressi eventi cardiovascolari e di diabete. “La pandemia - sostiene Francesconi - ha, nel complesso, determinato un peggioramento della qualità delle cure per l’ipercolesterolemia provocando una sensibile riduzione del numero di determinazioni del quadro lipidico nei laboratori della Regione. Il numero dei pazienti che hanno ricevuto almeno una prescrizione di un farmaco ipocolesterolemizzante nel corso del 2020 non si è ridotto rispetto al 2019; possiamo dedurne che il precoce ricorso alla prescrizione elettronica dematerializzata abbia consentito di mantenere a livelli accettabili la disponibilità della terapia. D’altro canto, nel 2020 si è osservata una riduzione del numero di pazienti che ha assunto un farmaco ipocolesterolemizzante con frequenza superiore al 75% delle dosi attese; si è verificata, cioè, una riduzione dell’aderenza complessiva a questa terapia”.

È possibile che “la riduzione dei contatti diretti (in presenza fisica) dei pazienti con i propri medici di riferimento (di medicina generale e/o specialisti), legata alle restrizioni agli accessi negli ambulatori imposte a causa della pandemia, abbia influito negativamente sull’aderenza – aggiunge l’esperto -. D’altro canto, nel corso del 2020, tra i pazienti che effettuavano il trattamento con continuità, si è osservato un aumento della proporzione di persone nelle classi più basse di colesterolo LDL, a dimostrazione che la classe medica ha recepito, almeno in parte, la riduzione dei livelli desiderabili di LDL nelle linee guida ESC”.

Questo “ultimo aspetto – conclude Francesconi - permette di avere una certa fiducia nella possibilità di modificare favorevolmente l’atteggiamento terapeutico dei medici, attraverso un’adeguata opera di sensibilizzazione e formazione. In ogni caso risulta sempre più urgente attivare il nuovo modello di sanità d’iniziativa, già approvato con deliberazioni di giunta regionale ormai già cinque anni fa, che prevedeva anche il target degli assisiti con alto rischio cardiovascolare”.

18/10/2022

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